CASALE – Un incontro bellissimo in un clima di amicizia, cresciuta in questi anni, di stima reciproca e di gioia di ritrovarsi con dei “fratelli maggiori”. Così ho vissuto la visita che ho fatto alla dott.sa Adriana Ottolenghi, nel bel palazzo di famiglia che si affaccia sulla piazza san Domenico dove sono stato accolto con grande cordialità. In precedenza avevo intervistato il marito dott. Giorgio Ottolenghi nel momento in cui lasciava la presidenza della Comunità ebraica casalese, e che ora ho rivisto con qualche acciacco in più (quasi alla vigilia dei suoi 99 anni il prossimo 18 gennaio), ma sempre pronto e lucidissimo. La moglie mi ha concesso una bella intervista.
– Cosa vuol dire per lei essere ebrea oggi ?
“Sono profondamente ebrea perché le esperienze passate non mi permettono di dimenticarlo. Non sono ultra osservante, non sono ortodossa. Non mangio maiale, però, se mi capita qualche scampo…. Mangio al Ristorante, non faccio questioni… Osserviamo la Pasqua tutti gli otto giorni, celebriamo le feste, cerchiamo di farle in famiglia, anche se non sempre ci riusciamo, perché il figlio è lontano, è a Milano, con i bimbi che vanno a scuola….”
– Tra ciò che ha vissuto c’è anche il tempo della persecuzione nei confronti degli ebrei, a partire dalle leggi razziali…
“A distanza di 70 anni ho ancora un ricordo vivissimo di quel lontano ’43. Essendo nata nel 1934 non ho subito l’umiliazione di essere espulsa da scuola, perché io a scuola non ci sono proprio andata (avevo 4 anni nel 1938). Ho fatto una prima elementare strana, perché la comunità ebraica di Miano aveva organizzato, in via della Spiga, dei corsi per i bimbi che non potevano frequentare le scuole con insegnanti che a loro volta erano stati espulsi dalle scuole. Andavamo al pomeriggio con le aule sporche perché c’erano state le lezioni al mattino, ma eravamo tranquilli. Non abitavamo vicino a piazza Argentina e molte volte tornavamo a piedi attraversando i giardini incontrano altri bimbi che abitavano nelle vicinanze, per cui era quasi un divertimento il rientro da scuola…”
– La situazione poi è andata peggiorando con l’occupazione nazista…
“Il primo bombardamento di Milano ci ha visti sfollati a Vergiate nella casa della zia (sorella di mio papà), chiamata la villa degli ebrei; per cui dopo l’8 settembre (forse il 14 settembre, il giorno di mio compleanno), la zia di ritorno da Arona raccontava di essere stata avvertita del pericolo dal negoziante, e dell’arresto di ebrei che poi hanno seguito i fatti di Meina dove 16 ebrei furono gettati nel lago… Così il 20 settembre 1943 mia nonna, mia sorellina Renata ed io entravamo nel Monastero di clausura delle Benedettine di Ronco di Ghiffa; a Vergiate eravamo conosciute e sarebbe stato troppo pericoloso. A Ghiffa, Madre Giuseppina disse subito di sì. Una cosa devo dire: non hanno mai fatto pressone su di noi per convertirci, anzi ci avevano preparato una sala da pranzo a parte per non farci mettere a disagio al momento delle preghiere…”
– Oltre alle Monache ci furono altre persone che vi furono vicine ?
“Con le leggi del novembre 1943 dove gli ebrei dovevano essere arrestati le cose si sono complicate. I miei genitori continuarono a cercare una via di fuga in Svizzera, anche se era problematica, ma trovammo una donna ‘giusta’, Anna Bedoni Ferrari, maestra ed aiuto segretaria in comune a Trarego, illustre sconosciuta che a rischio della vita sua, del marito e della figlia ci fece nuove carte di identità (senza la scritta di razza ebraica e con qualche piccola correzione nei nomi) per salvare sette di noi. Quando il parroco ebbe sentore di una possibile retata, le Suore misero in clausura nonna e zia, trovando una sistemazione per tutte. Non andammo mai in Svizzera, ma rimanemmo lì fino alla Liberazione…”
– Poi tornaste a Milano ….
“In estate, perché la nostra casa era ancora occupata da sfollati Nel frattempo il papà che era batteriologo e prima della guerra era stato in Francia (dalle parti di Tolosa) con noi, fino al 1938, quando venne espulso per ‘troppa italianità’ (trovando in Italia le leggi razziali), era partito per lavoro negli Stai Uniti dove c’era uno zio in Wisconsin. Nel gennaio 1951 tutta la famiglia si ricongiunse in America, dopo una traversata in nave abbastanza disturbata.”
– Così rimase negli USA …
“A Fond du Lac nel Wisconsin, affidate a due ragazze americane che ci insegnarono le loro abitudini di vita, sportive…; nell’estate un insegnante di inglese ci prese ed iniziò lezioni di vita (market librerai, biblioteca) e di lingua che ci permisero a settembre di essere in grado di iniziare le lezioni regolari, con buone votazioni, proseguendo poi in università dove conseguii il bachelor in giornalismo nel 1957, avendo già iniziato a fare pratica in un piccolo giornale locale….
Dopo la laurea partimmo per le vacanze in Italia dalla nonna materna a Torino, ultra ottantenne, che mi convinse a rimanere con lei ancora per un po’ al momento di partire. Fu in quell’occasione che conobbi Giorgio, che era amico della famiglia, nel settembre 1958; lo sposai a Torino nel giugno 1959 e poi giungemmo a Casale.”
– Era un città che conosceva già ?
“In realtà solo di passaggio. Trovai che a Casale si viveva molto bene, è una città da misura d’uomo dove ci si conosce. Pensammo anche con amici di trasferirci in una delle colline meravigliose che circondano la città, ma poi non se fece niente.”
– Come trovò la comunità ebraica casalese ?
“Era una comunità che aveva avuto una grande storia; quando la città era la seconda del Piemonte così era anche la comunità ebraica, con un ruolo giurisdizionale (il 2° Consistoire des juifs) in epoca napoleonica che arrivava sino a Nizza. Probabilmente quando si parla dei una presenza di 6.000 ebrei in quell’epoca, penso ci si riferisca a tutta quella zona. Ora la perdita di importanza della città ha coinciso con quella della comunità ebraica. Lo svuotamento dai paesi verso le città, ha coinciso con l’emigrazione degli ebrei verso le città più grandi…
Oggi siamo in due famiglie (Ottolenghi e Carmi). Ricardo allora che la comunità, seppure diminuita anche per le conseguenze della Shoah aveva ancora la possibilità di avere il rabbino (per la presenza di almeno 10 uomini); c’erano molte signore soprattutto vedove, Borello, Aghiron., Muggia…. Con la comunità di Vercelli ci vedevamo regolarmente, celebrando là il Capodanno e qui il Kippur…”
– Cosa vuol dire essere donna ebrea oggi ?
“Debbo dire che nell’ ebraismo c’è un matriarcato occulto, perché è la donna che dà l’ebraicità ai figli. Ricordo il riconoscimento di ebraicità per la presenza di una bisnonna ebrea…”
– Purtroppo oggi si registrano ancora casi di antisemitismo …
“Dico che l’antisemitismo è endemico ed il diverso fa sempre paura. Dopo 2000 anni l’accusa di deicidio ha lasciato sua impronta. Eppure Gesù era uno dei nostri; è nato e vissuto da ebreo. E poi l’ultima cena era una cena pasquale ebraica e l’ostia deriva dal nostro pane azzimo…… “
– La scelta è quella del dialogo e come la comunità ebraica casalese ne è un esempio, anche a livello culturale.
“E’ vero, Elio Carmi (l’attuale presedente) è un animatore formidabile, con la città e tra le religioni, in modo particolare con la Chiesa cattolica come dimostra ciò che avvenuto in questi anni, in un clima fraterno, frutto anche della svolta del concilio vaticano II, nel riconoscimento degli errori passati e delle comuni radiaci ebraiche.”
La conversione continua piacevolmente anche con il dott. Giorgio, ricordando esperienze belle vissute, visite importanti alla comunità, come quella del presedente della Repubblica Ciampi, di Lea Rabin, dell’ambasciatore israeliano, di 180 rabbini ultra ortodossi che arrivarono con 6 pullman in viaggio per un raduno a Stresa ed aneddoti curiosi, con l’augurio che questa amicizia, personale e tra le nostre comunità possa crescere sempre di più nel nome di Dio.
Gian Paolo Cassano

adriana-torre-ottolenghi.jpg

Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.