La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
 
La speranza cristiana è vivere nell’attesa che “per sempre saremo con il Signore”: lo ha evidenziato il Papa all’udienza generale di mercoledì 1 febbraio. La speranza, non è, secondo l’accezione comune desiderare qualcosa che può realizzarsi oppure no, ma è l’attesa di qualcosa che “è stato già compiuto”, in quanto radicata nella risurrezione di Cristo. E’ come camminare verso una porta: la porta c’è e sono sicuro che vi arriverò. “E’ l’attesa di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi. Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti, quindi, non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo. Sperare quindi significa imparare a vivere nell’attesa”.
Dopo aver riflettuto sulla speranza cristiana alla luce del Vecchio Testamento, ora si è soffermato sulla portata straordinaria che questa virtù assume nel Nuovo, quando incontra “la novità rappresentata da Gesù Cristo e dall’evento pasquale”. Il Pontefice ha mosso le sue riflessioni dalla Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, dove l’’Apostolo cerca di far comprendere gli effetti della risurrezione di Cristo per la vita di ciascuno.” Come i cristiani di Tessalonica “tutti abbiamo un po’ di paura”. Infatti “ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte o a quella di una persona cara sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità…..” Quindi “anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù e cosa significa la nostra morte”. San Paolo invita a tenere salda sul capo “come un elmo”, la speranza della salvezza.Occorre imparare a vivere nell’attesa, come una donna incinta che vive nell’attesa di vedere lo sguardo del suo bimbo. Per questo è necessario “un cuore povero”, in modo da “imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di incontrare il Signore. Questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa. Sperare significa e implica un cuore umile, un cuore povero. Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”. Tutto passa ma, dopo la morte, “per sempre saremo con il Signore”, perché i cristiani sono “donne e uomini di speranza”.
“La cultura della vita” come risposta “alla logica dello scarto e del calo demografico”, perché “ogni vita è sacra”: è quanto ha affermato il Papa all’Angelus domenica 5 febbraio, in occasione della Giornata per la vita, celebrata in Italia, in omaggio quest’anno a Madre Teresa, invitando tutti i fedeli ad essere “sale della terra” e “luce del mondo”. Da qui l’auspicio di Francesco per “una coraggiosa azione educativa” e “perché nessuno sia lasciato solo e l’amore difenda il senso della vita.” Ha poi rievocato la missione affidata da Gesù ai suoi discepoli, di ogni tempo, perché “è soprattutto il nostro comportamento che, nel bene e nel male, lascia un segno negli altri”. Il cristiano ha dunque “un compito e una responsabilità per il dono ricevuto”, perché “la luce della fede, che è in noi per mezzo di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, non dobbiamo trattenerla come se fosse nostra proprietà.” Occorre “donarla agli altri mediante le opere buone” ed il mondo ha bisogno “della luce del Vangelo che trasforma, guarisce e garantisce la salvezza a chi lo accoglie!” Donandosi, la fede non si spegne ma si rafforza, come il sale  che dà sapore ai cibi e li preserva dalla contaminazione. Da qui “la missione dei cristiani nella società di dare ‘sapore’ alla vita con la fede e l’amore” e al tempo stesso “di tenere lontani i germi inquinanti dell’egoismo, dell’invidia, della maldicenza, e così via”. Sono “questi germi” che “rovinano il tessuto delle nostre comunità, che devono invece risplendere come luoghi di accoglienza, di solidarietà e di riconciliazione”. Per questo, continuamente, tutti i giorni “bisogna che noi stessi per primi siamo liberati dalla degenerazione corruttrice degli influssi mondani, contrari a Cristo e al Vangelo (…) perseverando nel compito di rigenerare la realtà umana nello spirito del Vangelo e nella prospettiva del regno di Dio”.
Gian Paolo Cassano

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