LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

L’udienza generale di mercoledì 22 aprile è stata dedicata, nella giornata della terra, alla difesa del creato. Il Papa ha incoraggiato a crescere nella coscienza della cura della casa comune, che è stata invece inquinata e depredata, dando anche a vita a un movimento popolare “dal basso”. Serve quindi “una conversione ecologica” ed “un piano condiviso” per scongiurare il deterioramento della terra, avendo cura delle altre creature e nutrendo amore e compassione per gli altri. La terra non è un “deposito di risorse” ma per i “credenti il mondo naturale è il Vangelo della Creazione”. E’ il “modo nuovo” con cui guardare alla creazione, consci di essere un’unica famiglia umana interdipendente che, a causa dell’egoismo, è venuta meno alla propria responsabilità di “custodi” della terra, mettendo in pericolo la stessa vita. Dal Papa è venuto poi l’apprezzamento sincero per i “vari movimenti internazionali e locali”, che si sono formati “per risvegliare le coscienze”, anche se “sarà ancora necessario che i nostri figli scendano in strada per insegnarci ciò che è ovvio, vale a dire che non c’è futuro per noi se distruggiamo l’ambiente che ci sostiene”. Ciascuno però può dare il suo piccolo contributo, incoraggiando “a organizzare interventi concertati anche a livello nazionale e locale. È bene convergere insieme da ogni condizione sociale e dare vita anche a un movimento popolare dal basso”. Ha così ricordato due prossimi “importantissimi” incontri, la COP15 sulla Biodiversità a Kunming (Cina) e la COP26 sui Cambiamenti Climatici a Glasgow (Regno Unito). Si tratta di creare “armonia” anche nel “nostro rapporto con la gente, con il prossimo, con i più poveri, con la terra”, nell’armonia che fa lo Spirito Santo. “Nel celebrare oggi la Giornata Mondiale della Terra, siamo chiamati a ritrovare il senso del sacro rispetto per la terra, perché essa non è soltanto casa nostra, ma anche casa di Dio. Da ciò scaturisce in noi la consapevolezza di stare su una terra sacra!” Dio davanti alla creazione vide che era cosa molto buona ma oggi dobbiamo constatare che “siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”, perché “abbiamo peccato contro la terra, contro il nostro prossimo e, in definitiva, contro il Creatore”.
Un detto spagnolo dice che “Dio perdona sempre; noi uomini perdoniamo alcune volte sì, alcune volte no; la terra non perdona mai”. Se l’abbiamo deteriorata, la risposta sarà molto brutta. Infine ha richiamato alla contemplazione, a quella saggezza del “buon vivere” dei popoli originari, intesa da loro non nel senso di passarla bene, ma del vivere in armonia con la terra, esortando, in questo tempo pasquale, ad apprezzare il magnifico dono del creato e a prendersi cura dei fratelli.
Al Regina Coeli domenica 26 aprile ha commentato il passo del Vangelo domenicale dei discepoli di Emmaus, insegnando una svolta, un cambio di prospettiva, un guardare alla realtà “più grande e vera della vita” che è l’amore di Gesù. Ha così sottolineato il passaggio dalla tristezza alla gioia che è possibile se si smette “di orbitare nel proprio io”, se si accetta il cambio di passo che solo l’incontro con Dio può generare. “L’inversione di marcia è (…) passare dai pensieri sul mio io alla realtà del mio Dio; passare – con un altro gioco di parole – dai “se” al “sì”. Dal “se” ai “sì” (…) Se fosse stato Lui a liberarci, se Dio mi avesse ascoltato, se la vita fosse andata come volevo, se avessi questo e quell’altro…, in tono di lamentele. Questo ‘se’ non aiuta, non è fecondo, non aiuta noi né gli altri. Ecco i nostri se, simili a quelli dei due discepoli. I quali passano però al sì: “sì, il Signore è vivo, cammina con noi. Sì, ora, non domani, ci rimettiamo in cammino per annunciarlo”. Sì, io posso fare questo perché la gente sia più felice, perché la gente migliori, per aiutare tanta gente. Sì: sì, posso.” Dalla lamentela alla gioia si passa al servizio, abbandonando “l’aria grigia della tristezza”, che non fa crescere bene, per arrivare alla pace. Ecco “la bella notizia dell’incontro con Gesù Risorto”, che è espressione dell’amore di Gesù di una “realtà più grande e vera della vita, positiva, solare, bella” che i discepoli da Emmaus corrono a portare a Gerusalemme.
Sono, infatti, due le direzioni opposte della vita: “c’è la via di chi, come quei due all’andata, si lascia paralizzare dalle delusioni della vita e va avanti triste; e c’è la via di chi non mette al primo posto sé stesso e i suoi problemi, ma Gesù che ci visita, e i fratelli che attendono la sua visita, cioè i fratelli che attendono che noi ci prendiamo cura di loro. Ecco la svolta: smettere di orbitare attorno al proprio io, alle delusioni del passato, agli ideali non realizzati, a tante cose brutte che sono accadute nella propria vita.”
Ora “non c’è salita, non c’è notte che non si possono affrontare con Gesù”, perché tutto cambia se si fa esperienza del suo amore, del suo incontro. I discepoli di Emmaus sono i testimoni di questa svolta: aprono il cuore, ascoltano le Scritture e invitano Gesù a casa. “Sono tre passaggi che possiamo compiere anche noi nelle nostre case: primo, aprire il cuore a Gesù, affidargli i pesi, le fatiche, le delusioni della vita, affidargli il ‘se’; e poi, secondo passo, ascoltare Gesù, prendere in mano il Vangelo, leggere oggi stesso questo brano, al capitolo ventiquattro del Vangelo di Luca; terzo, pregare Gesù, con le stesse parole di quei discepoli: ‘Signore, «resta con noi» (v. 29). Signore, resta con me. Signore, resta con tutti noi, perché abbiamo bisogno di Te per trovare la via’. E senza di Te c’è la notte.”

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