LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

All’udienza generale di mercoledì 26 settembre il Pontefice ha ripercorso le tappe più salienti del suo recente viaggio nei Paesi baltici, con la missione di “annunciare nuovamente la gioia del Vangelo e la rivoluzione della misericordia, della tenerezza”. Egli ha ricordato che Lituania, Lettonia, Estonia (a 100 anni dall’indipendenza dalla Russia) hanno vissuto questo secolo “per metà sotto il giogo delle occupazioni, quella nazista, prima, e quella sovietica, poi”. Essi “hanno molto sofferto e per questo il Signore li ha guardati con predilezione”. In questi Paesi il contesto, dalla fine del giogo del comunismo, è molto mutato. Ecco perché la missione del Pontefice è stata quella di riannunciare la rivoluzione della misericordia e la gioia del Vangelo “che nel tempo della prova dà forza e anima la lotta per la liberazione, nel tempo della libertà è luce per il quotidiano cammino delle persone delle famiglie, delle società ed è sale che dà sapore alla vita ordinaria e la preserva dalla corruzione della mediocrità e degli egoismi.” In questo momento “la sfida è quella di rafforzare la comunione tra tutti i cristiani, già sviluppatasi durante il duro periodo della persecuzione.”
Ha ricordato i diversi incontri avuti (ecumenici, con i giovani, con le autorità…..), incoraggiando “il dialogo tra la generazione degli anziani e quella dei giovani”, un contatto con le radici che deve “continuare a fecondare il presente e il futuro” e a “coniugare sempre la libertà con la solidarietà e l’accoglienza”. Con gli anziani, a Riga, Francesco ha sottolineato lo stretto legame tra pazienza e speranza: “coloro che sono passati attraverso dure prove sono radici di un popolo, da custodire con la grazia di Dio, perché i nuovi germogli possano attingervi e fiorire e portare frutto. La sfida per chi invecchia è non indurirsi dentro, ma rimanere aperto e tenero di mente e di cuore; e questo è possibile con la ‘linfa’ dello Spirito Santo, nella preghiera e nell’ascolto della Parola.”
Nell’incontro in Lituania con sacerdoti e seminaristi, si è riferito alla speranza, alla “dimensione della costanza, essere centrati in Dio, fermamente radicati nel suo amore”, come coloro che “hanno sofferto calunnie, prigioni, deportazioni…, ma sono rimasti saldi nella fede”. Bisogna non dimenticare e “custodire la memoria dei martiri, per seguire i loro esempi”. A Vilnius poi ha reso omaggio “alle vittime del genocidio ebraico in Lituania, esattamente a 75 anni dalla chiusura del grande Ghetto, che fu anticamera della morte per decine di migliaia di ebrei”, sostando poi in preghiera al Museo delle Occupazioni e delle Lotte per la Libertà, “nelle stanze dove venivano detenuti, torturati e uccisi gli oppositori del regime”. La carità è “segno vivo del Vangelo. (….) Anche dove più forte è la secolarizzazione, Dio parla col linguaggio dell’amore, della cura, del servizio gratuito a chi è nel bisogno. E allora i cuori si aprono, e succedono miracoli: nei deserti germoglia vita nuova.”
Domenica 30 settembre, all’Angelus, il Papa ha esortato a imparare da Cristo che “ci chiama a non pensare secondo le categorie di ‘amico/nemico’, ‘noi/loro’, ‘chi è dentro/chi è fuori’, ma ad andare oltre”. Bisogna imparare da Gesù ad “essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie.” Solo Lui è così “pienamente aperto alla libertà dello Spirito di Dio, che nella sua azione non è limitato da alcun confine e da alcun recinto”.
Pur comprendendo l’umanità dell’atteggiamento dei discepoli descritto nell’episodio del Vangelo, Francesco ha messo in guardia dal “timore della concorrenza” in cui “comunità cristiane di tutti i tempi.” E’ quel “perché non è dei nostri” a farci cadere nell’autoreferenzialità: “radice del proselitismo”, perché “la Chiesa (come diceva Papa Benedetto XVI), non cresce per proselitismo ma per la testimonianza agli altri con la forza dello Spirito Santo”. Se rimaniamo ingabbiati in ciò che conosciamo o ci appartiene, saremo spinti a giudicare gli altri. Dobbiamo invece “esaminare noi stessi, e ‘tagliare’ senza compromessi tutto ciò che può scandalizzare le persone più deboli nella fede”.

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