La parola di Papa Leone

Nella catechesi dell’udienza generale di mercoledì 1 ottobre 2025, il Papa si è soffermato sulla Pasqua di Cristo, sottolineando come Dio non abbia rinunciato a noi anche davanti ai nostri limiti. E’ nella risurrezione di Cristo il cuore della nostra fede e speranza, un mistero sorprendente sia perché “un uomo, il Figlio di Dio, è risorto dai morti”, sia “per il modo in cui ha scelto di farlo”, non come un trionfo roboante, una vendetta o una rivalsa contro i nemici, come capita a noi dopo un trauma causato da altri. La sua è “la testimonianza meravigliosa di come l’amore sia capace di rialzarsi dopo una grande sconfitta per proseguire il suo inarrestabile cammino.” Uscito dagli inferi della morte, Gesù non torna “con gesti di potenza”, ma manifestando con mitezza “la gioia di un amore più grande di ogni ferita e più forte di ogni tradimento.” Non afferma la propria superiorità, non forza i tempi della capacità di accoglienza dei discepoli, ma desidera “essere in comunione con loro, aiutandoli a superare il senso di colpa”, come fa apparendo loro nel cenacolo, dove è espressa una forza straordinaria: entrando “nella stanza chiusa di chi è paralizzato dalla paura, portando un dono che nessuno avrebbe osato sperare: la pace.”

Egli mostra loro i segni della passione nelle mani e nel fianco, nei confronti di chi in quelle ore drammatiche lo aveva rinnegato e abbandonato. Il Vangelo dice che, vedendo il Signore, “i discepoli gioirono” (cfr Gv 20,20), perché Gesù è ormai pienamente riconciliato con ciò che ha sofferto e le “ferite non servono a rimproverare, ma a confermare un amore più forte di ogni infedeltà”. Nel nostro venir meno, “Dio non si è tirato indietro, non ha rinunciato a noi; (…) è la pace di chi ha sofferto per amore e ora può finalmente affermare che ne è valsa la pena.”

Invece a noi capita di mascherare le “ferite per orgoglio o per timore di apparire deboli,” preferendo “nascondere la nostra fatica di perdonare per non apparire vulnerabili e per non rischiare di soffrire ancora”. Gesù, però, “offre le sue piaghe come garanzia di perdono”, perché “la Risurrezione non è la cancellazione del passato, ma la sua trasfigurazione in una speranza di misericordia.” Egli affida agli apostoli (proprio per aver sperimentato il fallimento e il perdono) “un compito che non è tanto un potere, quanto una responsabilità”, ovvero di “essere nel mondo strumenti di riconciliazione”.

Poi il Maestro soffiò su di loro lo Spirito Santo che lo ha “sostenuto nell’obbedienza” al Padre perché annuncino a tutti “che Dio perdona, rialza, ridona fiducia”. E’ questo il cuore della missione della Chiesa, la forza della “comunità cristiana: uomini e donne che hanno scoperto la bellezza di tornare alla vita per poterla donare agli altri.”

Di qui l’invito a non aver paura di mostrare le “ferite risanate dalla misericordia”, di farsi” prossimi a chi è chiuso nella paura o nel senso di colpa”, ad essere “testimoni di questa pace e di questo amore più forte di ogni sconfitta”, con il soffio dello Spirito.

Chiediamoci:

  • Guardo alla risurrezione di Cristo come al cuore della nostra fede e speranza?
  • Cerco di imitare l’amore del Signore che non pretende, non ricatta, non umilia?
  • Dopo un trauma causato da altri mi capita di reagire con rabbia, con il desiderio di far pagare a qualcuno ciò è stato subito?
  • Chiedo a Dio la grazia di manifestare con mitezza la gioia di un amore più grande di ogni ferita e più forte di ogni tradimento?
  • Mi capita di mascherare le ferite per orgoglio o per timore di apparire deboli?
  • Preferisco nascondere la fatica di perdonare per non apparire vulnerabile e per non rischiare di soffrire ancora?
  • Accolgo il mandato del Signore ad essere nel mondo strumento di riconciliazione?
  • Vivo la missione della Chiesa, non di potere, ma di comunicare la gioia di chi è stato amato proprio quando non lo meritava?
  • Ho paura di mostrare le ferite risanate dalla misericordia?
  • Invoco lo Spirito perché mi renda testimone della pace e dell’amore più forte di ogni sconfitta?