LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

All’Udienza generale mercoledì 23 febbraio il Papa ha iniziato un nuovo ciclo di catechesi dedicato al senso e al valore della vecchiaia, per far capire bene la ricchezza di questa categoria e incoraggiare il dialogo con i giovani, evitando che questi scadano nello smarrimento e i nonni nell’avvilimento, rivolgendo un forte appello per la pace in Ucraina. Un tema su cui da sempre ha richiamato l’attenzione e che in quest’epoca segnata dalla pandemia e dal calo demografico è particolarmente urgente Gli anziani sono “un vero e proprionuovo popolo” e “mai siamo stati così numerosi nella storia umana. Il rischio di essere scartati è ancora più frequente”. Infatti molte volte gli anziani sono visti come “un peso” e “nella drammatica prima fase della pandemia sono stati loro a pagare il prezzo più alto. Erano già la parte più debole e trascurata: non li guardavamo troppo da vivi, non li abbiamo neppure visti morire.”
Per questo ha ricordato la Carta per i diritti degli anziani e i doveri della comunità che si farà bene leggerla. Francesco ha rilevato che, con le migrazioni, quello degli anziani è il tema forse più preoccupante oggi: ma “non si tratta solo di un cambiamento quantitativo, è in gioco l’unità delle età della vita”, ossia, “il reale punto di riferimento per la comprensione e l’apprezzamento della vita umana nella sua interezza”. Nel presente si vedono convivere bambini, giovani, adulti, anziani; tuttavia, “è cambiata la proporzione”, perché “la longevità è diventata di massa e, in ampie regioni del mondo, l’infanzia è distribuita a piccole dosi. Uno squilibrio che ha tante conseguenze. La cultura dominante ha come modello unico il giovane-adulto, cioè un individuo che si fa da sé e rimane sempre giovane”. Il Pontefice ha invitato a ripensare quella mentalità odierna che esalta la giovinezza “come unica età degna di incarnare l’ideale umano, unita al disprezzo della vecchiaia vista come fragilità, degrado, disabilità” che “è stata l’icona dominante dei totalitarismi del ventesimo secolo.” Bisogna non dimenticarlo. Ora se “l’allungarsi della vita incide in maniera strutturale sulla storia dei singoli, delle famiglie e delle società”, occorre chiedersi se “la sua qualità spirituale e il suo senso comunitario” siano “oggetto di pensiero e di amore coerenti con questo fatto.” Gli anziani non devono “chiedere scusa della loro ostinazione a sopravvivere a spese d’altri”, ma “possono essere onorati per i doni che portano al senso della vita di tutti”. Di fatto, nelle culture cosiddette “sviluppate (…) la vecchiaia ha poca incidenza”, come se fosse “un’età che non ha contenuti speciali da offrire, né significati propri da vivere”. Inoltre, “manca l’incoraggiamento delle persone a cercarli, e manca l’educazione della comunità a riconoscerli”.
Insomma, “per un’età che è ormai una parte determinante dello spazio comunitario e si estende a un terzo dell’intera vita, ci sono – a volte – piani di assistenza, ma non progetti di esistenza”; si tratta di “un vuoto di pensiero, di immaginazione, di creatività” per cui gli anziani diventano “materiali di scarto. In questa cultura dello scarto, gli anziani entrano come materiale di scarto.” “La giovinezza è bellissima”, è vero, “ma l’eterna giovinezza è un’allucinazione molto pericolosa”, Così “essere vecchi è altrettanto importante – e bello – che essere giovani.” E’ l’alleanza fra le generazioni “che restituisce all’umano tutte le età della vita, è il nostro dono perduto. Deve essere ritrovato in questa cultura dello scarto, in questa cultura della produttività.” Il rischio è reale: “Quando gli anziani resistono allo Spirito, seppellendo nel passato i loro sogni, i giovani non riescono più a vedere le cose che devono essere fatte per aprire il futuro. Quando invece i vecchi comunicano i loro sogni, i ragazzi vedono bene ciò che devono fare”. Se i ragazzi “non interrogano più i sogni dei vecchi, puntando a testa bassa su visioni che non vanno oltre il loro naso, faticheranno a portare il loro presente e a sopportare il loro futuro. Se i nonni ripiegano sulle loro malinconie, i giovani si curveranno ancora di più sul loro smartphone.”
Così “lo schermo può anche rimanere acceso, ma la vita si spegne prima del tempo”, ricordando come “il contraccolpo più grave della pandemia” sia stato proprio lo smarrimento dei giovani. Per questo bisogna attingere alla saggezza dei vecchi che “hanno risorse di vita già vissuta alle quali possono ricorrere”. Così ha incoraggiato gli anziani, magari scoraggiati e annichiliti a vivere la vecchiaia “come una offerta di senso della vita, non consumata come inerzia della sua sopravvivenza”, perché “se non è restituita alla dignità di una vita umanamente degna, è destinata a chiudersi in un avvilimento che toglie amore a tutti. Questa sfida di umanità e di civiltà richiede il nostro impegno e l’aiuto di Dio. Chiediamolo allo Spirito Santo. La vecchiaia è un dono per tutte le età della vita, è un dono di maturità, di saggezza.” Quindi “è importante non solo che l’anziano occupi solo il posto di saggezza, ma anche che ci sia un colloquio con i giovani” perché i nonni “sono come la radice dell’albero, hanno tutta la vita lì. E i giovani sono come, i fiori e i frutti. Se non viene il succo, questa flebo dalla radice, mai potranno fiorire”.
Al termine dell’udienza il Papa ha espresso il suo grande “dolore” per il peggioramento della situazione in Ucraina invitando i fedeli a vivere una giornata di preghiera e digiuno il 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri.

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