LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

Mercoledì 17 aprile, all’udienza generale il Pontefice si è soffermato sulle parole di Gesù, durante la passione. Nel Getsemani il Signore chiede a Dio Padre: “glorifica il Figlio tuo, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse”. E’ quella che “indica il rivelarsi di Dio, è il segno distintivo della sua presenza salvatrice fra gli uomini”. Sulla croce “Dio rivela la sua gloria”, che “è tutta amore: amore puro, folle e impensabile, al di là di ogni limite e misura”. Di qui l’invito a fare nostra la preghiera di Gesù, perché il Padre tolga “i veli ai nostri occhi” in modo che “guardando al Crocifisso, possiamo accogliere che Dio è amore”. Dio non è padrone, ma Padre, non tanto “giudice severo”, ma piuttosto “Salvatore misericordioso!” Ora “Dio a Pasqua azzera le distanze, mostrandosi nell’umiltà di un amore che domanda il nostro amore. Noi, dunque, gli diamo gloria quando viviamo tutto quel che facciamo con amore, quando facciamo ogni cosa di cuore, come per Lui.” La vera gloria “è la gloria dell’amore, perché è l’unica che dà la vita al mondo” che “è il contrario della gloria mondana, che arriva quando si è ammirati, si è lodati, si è acclamati. (…) Quando io sto al centro dell’attenzione. La gloria di Dio, invece, è paradossale: niente applausi, niente audience. Al centro non c’è l’io, ma l’altro: a Pasqua vediamo infatti che il Padre glorifica il Figlio mentre il Figlio glorifica il Padre. Nessuno glorifica sé stesso.” Poi ha invitato a chiederci: “Qual è la gloria per cui vivo? La mia o quella di Dio? Desidero solo ricevere dagli altri o anche donare agli altri?”.
Nel Getsemani Gesù comincia a sentire “paura e angoscia per ciò che lo attende: tradimento, disprezzo, sofferenza, fallimento”. Qui si rivolge al Padre “con la parola più tenera e dolce: ‘Abbà’, cioè papà”, insegnandoci, nella prova “ad abbracciare il Padre, perché nella preghiera a Lui c’è la forza di andare avanti nel dolore.” Nell’abbandono di tutti “Gesù non è solo, sta col Padre”, mentre noi “nei nostri Getsemani spesso scegliamo di rimanere soli anziché dire ‘Padre’ e affidarci a Lui, come Gesù, affidarci alla sua volontà, che è il nostro vero bene. Ma quando nella prova restiamo chiusi in noi stessi ci scaviamo un tunnel dentro, un doloroso percorso introverso che ha un’unica direzione: sempre più a fondo in noi stessi. Il problema più grande non è il dolore, ma come lo si affronta. La solitudine non offre vie di uscita; la preghiera sì, perché è relazione, è affidamento.”
La terza preghiera Gesù la rivolge al Padre per noi: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Prega per i suoi uccisori: “qui, al vertice del dolore, giunge al culmine l’amore: arriva il perdono, cioè il dono all’ennesima potenza, che spezza il circolo del male”. Così noi quando preghiamo con “il ‘Padre nostro’, possiamo chiedere una di queste grazie: di vivere le nostre giornate per la gloria di Dio, cioè vivere con amore; di saperci affidare al Padre nelle prove e dire ‘papà’ al Padre e di trovare nell’incontro col Padre il perdono e il coraggio di perdonare. Ambedue le cose vanno insieme. Il Padre ci perdona, ma ci dà il coraggio di poter perdonare.”
A Pasqua domenica 21 aprile, alla benedizione Urbi et Orbi, il Papa ha pensato alle tante sofferenze del nostro tempo: dal Medio Oriente ai Paesi africani, dagli Stati del continente americano che vivono “difficili” situazioni politiche ed economiche al proliferare delle armi, senza dimenticare i poveri e gli emarginati
Nel giorno della Risurrezione di Cristo, “giovinezza perenne della Chiesa e dell’intera umanità”, Francesco ha indirizzato ai fedeli le parole iniziali dell’Esortazione apostolica Christus vivit, dedicandole sia a “ciascun giovane e a ciascun cristiano”, sia “ad ogni persona e al mondo”. Infatti “Cristo vive (…) Lui vive e ti vuole vivo! Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare”. Ha indicato la Risurrezione di Cristo come “principio di vita nuova per ogni uomo e ogni donna, perché il vero rinnovamento parte sempre dal cuore, dalla coscienza. Ma la Pasqua è anche l’inizio del mondo nuovo, liberato dalla schiavitù del peccato e della morte: il mondo finalmente aperto al Regno di Dio, Regno di amore, di pace e Regno di fraternità.” Così, guardando al mondo di oggi ha visto quanti sono “nella prova, nel dolore e nel lutto”, e ha ricordato che Cristo non ci abbandona mai.
Così ha prega affinché ci sia “speranza per l’amato popolo siriano”, vittima di un “perdurante” conflitto che rischia di trovarci “sempre più rassegnati e perfino indifferenti”. Così è per il Medio Oriente (dallo Yemen alla Terra Santa), “lacerato” da continue divisioni e tensioni. I cristiani della regione non manchino di testimoniare con “paziente perseveranza” il Signore risorto e la “vittoria della vita sulla morte”. Le armi cessino di “insanguinare” la Libia, esortando “le parti interessate a scegliere il dialogo piuttosto che la sopraffazione”; così il resto dell’Africa (Burkina Faso, Mali, Niger, Nigeria e Camerun, Sudan, Sud Sudan…), amato continente, “ancora disseminato di tensioni sociali, conflitti e talvolta da violenti estremismi che lasciano insicurezza, distruzione e morte”. Un auspicio di “conforto” pasquale è andato alla popolazione delle regioni orientali dell’Ucraina, che continua a soffrire per il conflitto ancora in corso. Per il continente americano poi il Papa ha pregato affinché la gioia della Risurrezione riempia i cuori di chi “subisce le conseguenze di difficili situazioni politiche ed economiche”, come in Venezuela ed in Nicaragua. Il Papa ha invocato il Signore della pace di fronte al “fragore” delle armi, “tanto nei contesti di guerra che nelle nostre città”, perché “ispiri i leader delle Nazioni affinché si adoperino per porre fine alla corsa agli armamenti e alla preoccupante diffusione delle armi, specie nei Paesi economicamente più avanzati.”
Che i nostri cuori si aprano “alle necessità dei bisognosi, degli indifesi, dei poveri, dei disoccupati, degli emarginati, di chi bussa alla nostra porta in cerca di pane, di un rifugio e del riconoscimento della sua dignità”.

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