LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

All’udienza generale di mercoledì 27 febbraio il Papa ha parlato della prima delle 7 invocazioni contenute nella preghiera del Padre nostro, cioè ‘sia santificato il tuo nome’, per riscoprire le parole che Gesù stesso ci ha insegnato. Le prime tre hanno al centro il ‘tu’ e sono i desideri di Gesù in cui anche noi entriamo (cioè: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà), le altre quattro hanno al centro il ‘noi’ e le nostre necessità quotidiane di cui Gesù si fa interprete (il pane quotidiano, il perdono dei peccati, l’aiuto nella tentazione e la liberazione dal male). “Qui sta la matrice di ogni preghiera cristiana, direi di ogni preghiera umana, che è sempre fatta, da una parte, di contemplazione di Dio, del suo mistero, della sua bellezza e bontà, e, dall’altra, di sincera e coraggiosa richiesta di quello che ci serve per vivere, e vivere bene.” Non occorre moltiplicare le parole quando preghiamo perché (come riporta Matteo) ‘il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate’. Ora, “quando parliamo con Dio, non lo facciamo per rivelare a Lui quello che abbiamo nel cuore: Lui lo conosce molto meglio di noi stessi!” Dio è come una mamma a cui basta un’occhiata per “capire tutto dei figli”. Per questo “il primo passo della preghiera cristiana è (…) la consegna di noi stessi a Dio, alla sua provvidenza.” Quando preghiamo occorre chiedere senza preoccuparci e senza affannarci per le cose di cui abbiamo bisogno, perché “le domande del cristiano esprimono la confidenza nel Padre”. Nella prima domanda del Padre nostro, ‘sia santificato il tuo nome’ si sente il desiderio di Gesù che tutti riconoscano “la bellezza e la grandezza del Padre e lo amino”. Contemporaneamente “c’è la supplica che il suo nome sia santificato in noi, nella nostra famiglia, nella nostra comunità, nel mondo intero”. È Dio che ci rende santi, ma anche noi, testimoniando, manifestiamo la santità di Dio nel mondo. “Dio è santo, ma se noi, se la nostra vita non è santa, c’è una grande incoerenza! La santità di Dio deve rispecchiarsi nelle nostre azioni, nella nostra vita.” La santità di Dio è una forza che si espande, il male invece “ha i giorni contati” perché sconfitto da Gesù. Per questo “non vacilliamo nell’incertezza, ma abbiamo una grande certezza: Dio mi ama; Gesù ha dato la vita per me! Lo Spirito è dentro di me. È questa la grande cosa certa. E il male? Ha paura.”
Domenica 3 marzo, all’Angelus, commentando il brano evangelico domenicale di Luca, Francesco ha esortato quanti hanno responsabilità a compiere un “sano discernimento”, prima di ogni scelta e azione, per non rischiare “di causare dei danni alle persone che a lei si affidano”. Per indicare “se stesso come modello di maestro e guida da seguire”, Gesù sottolinea che “un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”. C’è qui “un invito a seguire il suo esempio e il suo insegnamento per essere guide sicure e sagge. E tale insegnamento è racchiuso soprattutto nel discorso della montagna, che da tre domeniche la liturgia ci propone nel Vangelo, indicando l’atteggiamento della mitezza e della misericordia per essere persone sincere, umili e giuste.” Il Papa poi ha evidenziato dal Vangelo l’invito a “non essere presuntuosi e ipocriti”. Infatti “tante volte, lo sappiamo tutti, è più facile o comodo scorgere e condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Noi sempre nascondiamo i nostri difetti, li nascondiamo anche a noi stessi; invece, è facile vedere i difetti altrui.” Ora “tutti abbiamo difetti: tutti. Dobbiamo esserne consapevoli e, prima di condannare gli altri, dobbiamo guardare noi stessi dentro. Possiamo così agire in modo credibile, con umiltà, testimoniando la carità.” Il Papa ha quindi esortato a capire “se il nostro occhio è libero o se è impedito da una trave” e che “non vi è albero buono che produca frutto cattivo…”, sapendo che “il frutto sono le azioni, ma anche le parole. Anche dalle parole si conosce la qualità dell’albero. Infatti, chi è buono trae fuori dal suo cuore e dalla sua bocca il bene e chi è cattivo trae fuori il male, praticando l’esercizio più deleterio fra noi, che è la mormorazione, il chiacchiericcio, parlare male degli altri. Questo distrugge; distrugge la famiglia, distrugge la scuola, distrugge il posto di lavoro, distrugge il quartiere. Dalla lingua incominciano le guerre.” Infine ha auspicato per tutti un esame di coscienza, chiedendoci se si parli “male degli altri”, cercando di “sporcare” il prossimo: così “farà bene” cercare di “correggere almeno un po’” i nostri difetti.

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