LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

Mercoledì 10 giugno, all’udienza generale, il Papa ha proseguito la catechesi sulla preghiera parlando della figura di Giacobbe, rivolgendosi agli uomini del terzo millennio, sfogliando il libro della Genesi che, “attraverso vicende di uomini e donne di epoche lontane, ci racconta storie in cui noi possiamo rispecchiare la nostra vita”. Ricordando la storia del patriarca, ha invitato a scorgere nella Bibbia gli specchi in cui si riflettono le nostre esistenze. Giacobbe, “aveva fatto della scaltrezza la sua dote migliore” e con l’inganno era riuscito “a carpire al padre Isacco la benedizione e il dono della primogenitura”: “un uomo che ‘si è fatto da solo’, che con l’ingegno riesce a conquistare tutto ciò che desidera”. Quella di Giacobbe è la storia di un uomo “costretto a fuggire lontano dal fratello”, che un giorno sente “il richiamo di casa, della sua antica patria”. Parte e compie un lungo viaggio “con una carovana numerosa di persone e animali”, ma la sua mente è “un turbinio di pensieri”. Poi, “all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui”. Giacobbe lotta “per tutta la notte”, ma “alla fine viene vinto” e “da allora sarà zoppo per tutta la vita”. In quella notte, “esce cambiato”. Egli “capisce di aver incontrato Dio faccia a faccia”. Ora “lottare con Dio” è “una metafora della preghiera” e la vita di Giacobbe è quella dell’uomo che perde ogni corazza terrena, si riconosce fragile e si abbandona alla misericordia del Signore. “Per una volta non è più padrone della situazione – la sua scaltrezza non serve -, non è più l’uomo stratega e calcolatore; Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e ha paura, perché Giacobbe nella lotta aveva paura. Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza, anche i suoi peccati. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo. (…) Giacobbe, prima era uno sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza. Era un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia; non conosceva cosa fosse la misericordia. (…) Ma Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore che aveva bisogno di misericordia.” Per ogni uomo, come Giacobbe, arriva il tempo di incontrare da soli il Signore “faccia a faccia” con le proprie vulnerabilità. Ma non si deve temere: “tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita: momenti oscuri, momenti di peccati, momenti di disorientamento. Lì c’è un appuntamento con Dio, sempre. Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini – mi permetto di dire ‘poveracci”; ma, proprio allora, “non dovremo temere, perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui. Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio. Lui sa come farlo, perché conosce ognuno di noi.”
Domenica 14 giugno ha presieduto in S. Pietro la S. Messa del Corpus Domini: Egli ha messo in rilievo come lL’Eucaristia sia “un tesoro da mettere al primo posto nella Chiesa e nella vita”. E’ fondamentale fare memoria riunendosi come popolo, ricordare il bene ricevuto dagli interventi di Dio nella nostra vita. Si tratta di una memoria che guarisce “la nostra memoria orfana”, “la memoria negativa” e “la nostra memoria chiusa”. Non solo, perché l’Eucaristia “spegne in noi la fame di cose e accende il desiderio di servire”; rialzandoci “dalla nostra comoda sedentarietà, ci ricorda che non siamo solo bocche da sfamare, ma siamo anche le sue mani per sfamare il prossimo. (….) Gesù nell’Eucaristia si fa vicino a noi: non lasciamo solo chi ci sta vicino!” Infatti “l’Eucaristia non è un semplice ricordo, è un fatto: è la Pasqua del Signore che rivive per noi” e nella Messa “la morte e la risurrezione di Gesù sono davanti a noi”. L’Eucaristia sana quindi la memoria orfana segnata da “delusioni cocenti”, inflitte magari da chi avrebbe dovuto dare amore e invece “ha reso orfano il cuore”. Ma Gesù guarisce anche la “memoria negativa”, quella che richiama sempre le cose che non vanno e ci lascia l’idea che “non siamo buoni a nulla”. Il Signore, “che è davvero innamorato di noi”, ama il bello e buono che siamo. Ma c’è anche “una memoria chiusa” da cui guarire quando quelle ferite che abbiamo dentro ci rendono “paurosi e sospettosi” e alla lunga “cinici e indifferenti” comportandoci con arroganza verso gli altri. “Solo l’amore guarisce alla radice la paura e libera dalle chiusure che imprigionano. Così fa Gesù, venendoci incontro con dolcezza, nella disarmante fragilità dell’Ostia; così fa Gesù, Pane spezzato per rompere i gusci dei nostri egoismi.”
All’Angelus ha ricordato che Gesù è “forza rinnovatrice” e comunione, ma dobbiamo lasciarci trasformare e dobbiamo superare le tentazioni di rivalità. “E’ vero che la Chiesa fa l’Eucaristia, ma è più fondamentale che l’Eucaristia fa la Chiesa, e le permette di essere la sua missione, prima ancora che di compierla.” Così ha richiamato ad una partecipazione al Sacramento in cui “Gesù è presente per essere il nostro nutrimento per essere assimilato e diventare in noi quella forza rinnovatrice che ridona energia e voglia di rimettersi in cammino, dopo ogni sosta o caduta”. Il Mistero del calice condiviso e del pane spezzato “richiede il nostro assenso, la nostra disponibilità a lasciar trasformare noi stessi, il nostro modo di pensare e di agire; altrimenti le celebrazioni eucaristiche a cui partecipiamo si riducono a dei riti vuoti e formali.” Non si va a Messa come atto sociale, perché il Mistero è un’altra Cosa “è Gesù presente che viene per nutrirci.” Infatti “il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il Corpo di Cristo?” (ricorda la 1 Corinzi). “Queste parole esprimono l’effetto mistico o spirituale dell’Eucaristia” che riguarda l’unione con Cristo, che nel pane e nel vino si offre per la salvezza di tutti”. Sono i due effetti del calice condiviso e del pane spezzato: quello mistico e quello comunitario. E’ la “comunione reciproca di quanti partecipano all’Eucaristia, al punto da diventare tra loro un corpo solo, come unico è il pane che si spezza e si distribuisce. La comunione al Corpo di Cristo è segno efficace di unità, di comunione, di condivisione”. Per questo “non si può partecipare all’Eucaristia senza impegnarsi in una sincera fraternità vicendevole, che sia sincera.!” Ora “il Signore sa bene che le nostre sole forze umane non bastano per questo” e che “tra i suoi discepoli ci sarà sempre la tentazione della rivalità, dell’invidia, del pregiudizio, della divisione.” Dio lo sa e “anche per questo ci ha lasciato il Sacramento della sua Presenza reale, concreta e permanente, così che, rimanendo uniti a Lui, noi possiamo ricevere sempre il dono dell’amore fraterno.” Occorre rimanete nel suo amore, e ciò “è possibile grazie all’Eucaristia.” Quindi è importante ricevere Gesù perché ci trasformi da dentro, faccia l’unità. “Questo duplice frutto dell’Eucaristia: l’unione con Cristo e la comunione tra quanti si nutrono di Lui, genera e rinnova continuamente la comunità cristiana.”

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