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Archivio della Categoria 'Papa Francesco'

La parola di Papa Francesco

Giovedì 9 Novembre 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Nella festa di Tutti i Santi, il 1 novembre, Francesco ha ricordato che i Santi “non sono modellini perfetti ma persone attraversate da Dio” che hanno accolto la luce del Signore “nel loro cuore e l’hanno trasmessa al mondo”, perché “chi sta con Gesù è beato, è felice”. Infatti “la felicità non sta nell’avere qualcosa o nel diventare qualcuno, no, la felicità vera è stare col Signore e vivere per amore”. Le beatitudini sono “ingredienti per una vita felice”, per cui “sono beati i semplici, gli umili che fanno posto a Dio, che sanno piangere per gli altri e per i propri sbagli, restano miti, lottano per la giustizia, sono misericordiosi verso tutti, custodiscono la purezza del cuore, operano sempre per la pace e rimangono nella gioia, non odiano e, anche quando soffrono, rispondono al male con il bene”. I santi “respirano come tutti l’aria inquinata dal male che c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indicato nelle beatitudini, che sono come la mappa della vita cristiana”. La festa dei Santi, “di quelli che hanno raggiunto la meta (…), tanti fratelli e sorelle ‘della porta accanto’, che magari abbiamo incontrato e conosciuto” è “una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a mandare avanti il mondo”. Sono i poveri in spirito, cioè coloro “che non vivono per il successo, il potere e il denaro; sanno che chi accumula tesori per sé non arricchisce davanti a Dio (cfr Lc 12,21). Credono invece che il Signore è il tesoro della vita, l’amore al prossimo l’unica vera fonte di guadagno. A volte siamo scontenti per qualcosa che ci manca o preoccupati se non siamo considerati come vorremmo; ricordiamoci che non sta qui la nostra beatitudine, ma nel Signore e nell’amore: solo con Lui, solo amando si vive da beati”.
Il 2 novembre, nella Commemorazione dei fedeli defunti, il Papa ha celebrato l’Eucaristia al Cimitero Americano di Nettuno. Nell’omelia ha fattoi riferimento alla speranza è quella di ri-incontrare Dio, di ri-incontrarci tutti noi, e questa, è “speranza che non delude”. Essa “tante volte nasce e mette le sue radici in tante piaghe umane, in tanti dolori umani e quel momento di dolore, di piaga, di sofferenza ci fa guardare il Cielo”. Poi ha pronunciato parole forti e ferme: “non più. Non più la guerra, implora il Papa, non più questa strage inutile”, come aveva detto Benedetto XV. “Meglio sperare senza questa distruzione: giovani … migliaia, migliaia, migliaia, migliaia … speranze rotte. Non più, Signore”. Una preghiera quanto mai attuale oggi quando “il mondo un’altra volta è in guerra e si prepara per andare più fortemente in guerra”. Con la guerra si perde tutto.
Ha fatto poi tappa al Sacrario delle Fosse Ardeatine, pregando il Signore di farci togliere “i calzari dell’egoismo e dell’indifferenza” di fronte ai “volti” e ai “nomi”, molti tutt’oggi ignoti, dei caduti “per la libertà e la giustizia”. Il Pontefice ha sostato tra le 335 tombe, di cui 12 non hanno un nome, ma ha assicurato che per Dio “nessuno è ignoto”: non è il “Dio dei morti ma dei viventi”, perché si tratta di una “alleanza di amore fedele” che è “più forte della morte ed è garanzia di resurrezione”.
Domenica 5 novembre, all’Angelus, riferendosi al Vangelo, ha ricordato che se l’autorità viene esercitata male, crea “un clima di sfiducia e di ostilità”. E’ il “cattivo esercizio dell’autorità che invece dovrebbe avere la sua prima forza proprio dal buon esempio. L’autorità nasce dal buon esempio, per aiutare gli altri a praticare ciò che è giusto e doveroso, sostenendoli nelle prove che si incontrano sulla via del bene”. Di qui l’esortazione a vivere l’autorità come un aiuto perché “se viene esercitata male, diventa oppressiva, non lascia crescere le persone e (…) porta alla corruzione”. Ora “noi discepoli di Gesù non dobbiamo cercare titoli di onore, di autorità o di supremazia. Io vi dico che a me personalmente addolora vedere persone che psicologicamente vivono correndo dietro la vanità delle onorificenze. Noi, discepoli di Gesù non dobbiamo fare questo, poiché tra di noi ci dev’essere un atteggiamento semplice e fraterno”. Infatti “siamo tutti fratelli e non dobbiamo in nessun modo sopraffare gli altri”, perché “se abbiamo ricevuto delle qualità dal Padre celeste, le dobbiamo mettere al servizio dei fratelli, e non approfittarne per la nostra soddisfazione e interesse personale”. L’invito è a non considerarsi superiori agli altri perché “la modestia è essenziale per una esistenza che vuole essere conforme all’insegnamento di Gesù”, che è venuto per servire, non per essere servito.
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Martedì 24 Ottobre 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Mercoledì 18 ottobre, all’Udienza generale, ha continuato la catechesi sulla speranza cristiana, soffermandosi in particolare sul tema: “Beati i morti che muoiono nel Signore”. Ha così invitato tutti a pensare al momento della morte: “ognuno di noi pensi alla propria morte e si immagini quel momento che avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: ‘Vieni, vieni con me, alzati’. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensate bene: Gesù stesso verrà a ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, la sua mitezza, il suo amore. E ognuno ripeta nel suo cuore la parola di Gesù: ‘Alzati, vieni. Alzati, vieni. Alzati, risorgi!’.” Capita che spesso, quando la morte arriva “ci troviamo impreparati, privi anche di un ‘alfabeto’ adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero, che comunque rimane”. Egli ha rammentato come l’uomo sia nato con il culto dei morti, con tale “enigma” ed alcune civiltà, “prima della nostra”, abbiano avuto il coraggio di guardare la morte “in faccia”. Infatti, “contare i propri giorni”, che scorrono via “veloci”, fa sì che il cuore divenga “saggio”. Per questo “la morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità: pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano”. Ora la speranza cristiana “attinge” dall’atteggiamento che Gesù assume contro la morte umana: “se essa è presente nella creazione, essa è però uno sfregio che deturpa il disegno di amore di Dio, e il Salvatore vuole guarircene”. Riferendosi poi al racconto evangelico di Giairo, che si rivolge con fede a Gesù perché salvi la figlia malata, osserva come il Signore ci metta sul ‘crinale’ della fede. Ogni volta che la morte viene a “strappare il tessuto della vita e degli affetti”, come a Marta, la sorella di Lazzaro che piange per la morte del fratello, Gesù è una certezza. “Tutta la nostra esistenza si gioca qui, tra il versante della fede e il precipizio della paura. (…) Siamo tutti piccoli e indifesi davanti al mistero della morte. Però, che grazia se in quel momento custodiamo nel cuore la fiammella della fede! Gesù ci prenderà per mano, come prese per mano la figlia di Giairo, e ripeterà ancora una volta: ‘Talità kum’, ‘Fanciulla, alzati’. Lo dirà a noi, a ciascuno di noi: ‘Rialzati, risorgi’”.
Domenica 22 ottobre, all’Angelus, commentando il Vangelo domenicale, il Papa ha messo l’accento sull’appartenenza degli uomini a Dio. Gesù “dichiara che pagare la tassa non è un atto di idolatria, ma un atto dovuto all’autorità terrena; dall’altra – ed è qui che Gesù dà il colpo d’ala – richiamando il primato di Dio, chiede di rendergli quello che gli spetta in quanto Signore della vita dell’uomo e della storia”. Così “il riferimento all’immagine di Cesare, incisa nella moneta, dice che è giusto sentirsi a pieno titolo – con diritti e doveri – cittadini dello Stato; ma simbolicamente fa pensare all’altra immagine che è impressa in ogni uomo: l’immagine di Dio. Egli è il Signore di tutto, e noi, che siamo stati creati a sua immagine apparteniamo anzitutto a Lui”. Francesco poi pone un “interrogativo più radicale e vitale per ognuno di noi”, quello dell’appartenenza, ricordando che apparteniamo a Dio, vivendo “nel ri-conoscimento di questa nostra appartenenza fondamentale e nella ri-conoscenza del cuore verso il nostro Padre, che crea ognuno di noi singolarmente, irripetibile, ma sempre secondo l’immagine del suo Figlio amato, Gesù.” Di qui l’azione del cristiano ad “impegnarsi concretamente nelle realtà terrene, ma illuminando le realtà terrene con la luce che viene da Dio. L’affidamento prioritario a Dio e la speranza in Lui non comportano una fuga dalla realtà, ma anzi un rendere operosamente a Dio quello che gli appartiene. È per questo che il credente guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere la vita terrena in pienezza, e rispondere con coraggio alle sue sfide”.
Ha poi ricordato la beatificazione di sabato 21 ottobre a Barcellona di Matteo Casals, Teofilo Casajús, Fernando Saperas e 106 compagni martiri, appartenenti alla Congregazione religiosa dei Claretiani e uccisi in odio alla fede durante la guerra civile spagnola. “Il loro eroico esempio e la loro intercessione sostengano i cristiani che anche ai nostri giorni, in diverse parti del mondo, subiscono discriminazioni e persecuzioni”.
Poi l’annuncio dell’indizione di un Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019, “al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”. Il Papa ha così chiesto a tutti i fedeli di avere “veramente a cuore l’annuncio del Vangelo e la conversione delle loro comunità in realtà missionarie ed evangelizzatrici” affinché “si accresca l’amore per la missione, che «è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo»” come affermava San Giovanni Paolo II. 
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Mercoledì 18 Ottobre 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

All’Udienza generale di mercoledì 11 ottobre il Pontefice, continuando sul tema della speranza cristiana ha evidenziato la necessità di una “attesa vigilante”, che deve precedere l’incontro con Gesù risorto. “Nulla è più certo, nella fede dei cristiani, di questo ‘appuntamento’, questo appuntamento con il Signore, quando Lui venga.” E’ per questo che “i cristiani non si adagiano mai”, perché, come insegna il Vangelo, “bisogna essere pronti per la salvezza” e “vivere in attesa di questo incontro!” L’incontro con Gesù “sarà un abbraccio, una gioia enorme, una grande gioia!” Ora il cristiano “sa che anche nella monotonia di certi giorni sempre uguali è nascosto un mistero di grazia” e “nessuna notte è così lunga da far dimenticare la gioia dell’aurora. E quanto più oscura, tanto più vicina l’aurora.” Restando uniti a Gesù, non resteremo paralizzati dal “freddo dei momenti difficili”, per cui “se anche il mondo intero predicasse contro la speranza, se dicesse che il futuro porterà solo nubi oscure, il cristiano sa che in quello stesso futuro c’è il ritorno di Cristo”.
E’ un pensiero che deve bastare “per avere fiducia e non maledire la vita”, perché “tutto verrà salvato” e “la dolce e potente memoria di Cristo scaccerà la tentazione di pensare che questa vita è sbagliata”. Infatti, “dopo aver conosciuto Gesù, noi non possiamo far altro che scrutare la storia con fiducia e speranza”, senza rimpiangere “un passato che si presume dorato,” ma guardare “a un futuro che non è solo opera delle nostre mani, ma che anzitutto è una preoccupazione costante della provvidenza di Dio. Tutto ciò che è opaco un giorno diventerà luce. (….) Dio non delude mai.”
Non c’è spazio nel cristianesimo al pessimismo, “come se la storia fosse un treno di cui si è perso il controllo,” né alla rassegnazione, perché “non è da cristiani alzare le spalle o piegare la testa davanti a un destino che ci sembra ineluttabile.” Il cristiano ha “il coraggio di rischiare per portare il bene”, il tesoro “che Gesù ci ha donato”.
Da qui a pregare tutti, specie in questo mese, il Rosario per la pace: “possa la preghiera smuovere gli animi più riottosi affinché bandiscano dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e costruiscano comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune”.
“Una storia d’amore con Dio”: è questa la vita cristiana. Lo ha ricordato il Papa domenica 15 ottobre in cui ha proclamato 35 nuovi santi. Essi hanno accolto l’invito alle nozze, come ricorda la parabola del Regno di Dio, paragonato ad una festa nuziale. Tra i nuovi Santi, rappresentati dalle immagini sulla facciata ci sono 30 martiri brasiliani, 3 martiri messicani uccisi ancora adolescenti e due sacerdoti europei. Sono i brasiliani Andrea de Soveral e Ambrogio Francesco Ferro, sacerdoti diocesani; Matteo Moreira e 27 Compagni protomartiri del Brasile nel 1600; Cristoforo, Antonio e Giovanni, protomartiri del Messico nel 1527 e 1529;  lo spagnolo Faustino Miguez, sacerdote, fondatore della Congregazione delle Suore Calasanziane Figlie della Divina Pastora, per l’educazione delle bambine, vissuto a cavallo fra XIX ed il XX secolo ed il cappuccino italiano p. Angelo da Acri morto nel 1739, che girò, predicando, l’Italia meridionale. 
Francesco ha messo in rilievo come il Signore voglia celebrare le nozze con ciascuno, in un rapporto personale, come quello di una sposa con lo sposo. Diciamo al Signore, almeno una volta al giorno, “Ti amo Signore” ?   Perché “se si smarrisce l’amore, la vita cristiana diventa sterile” ed  “una morale impossibile (…) da far quadrare senza un perché”. Occorre stare attenti da una vita cristiana come una “routine” senza entusiasmo. Bisogna “ravvivare la memoria del primo amore”. Un invito che può esser rifiutato tutte le volte che si fa emergere la dimensione del “proprio”, prendendo “le distanze dall’amore non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l’auto-affermazione, le comodità… Allora ci si sdraia sulle poltrone dei guadagni, dei piaceri, di qualche hobby che fa stare un po’ allegri, ma così si invecchia presto e male, perché si invecchia dentro: quando il cuore non si dilata, si chiude”. Gesù ci “chiede da che parte stare”: se “dalla parte dell’io o dalla parte di Dio”. L’invito è a fare come Dio, vivendo secondo l’amore vero, superando “i capricci del nostro io permaloso e pigro”. Infatti, Dio, di fronte ai “no” dell’uomo, “non sbatte la porta”, anzi di fronte alle ingiustizie subite, “risponde con un amore più grande”; mentre “soffre per i nostri no”, Egli “continua a rilanciare”, andando “avanti a preparare il bene anche per chi fa il male,” perché “solo così si vince il male”. Ora non basta rispondere una volta “sì” all’invito, ma serve “l’abitudine a vivere l’amore ogni giorno”. E’ l’insegnamento dei Santi canonizzati, soprattutto “i tanti Martiri”, ad indicare questa via: essi non hanno detto “sì” all’amore per un po’, ma “con la vita e fino alla fine” e il loro abito quotidiano è stato l’amore di Gesù, “quell’amore folle che ci ha amati fino alla fine” , lasciando il suo perdono a chi lo crocifiggeva.
All’Angelus Il Papa ha annunciato l’indizione di un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la regione Panamazzonica, nell’ottobre 2019 a Roma, accogliendo il “desiderio” di alcune Conferenze episcopali dell’America Latina, nonché la “voce” di pastori e fedeli di tutto il mondo. “Scopo principale di questa convocazione è individuare nuove strade per l’evangelizzazione di quella porzione del Popolo di Dio, specialmente degli indigeni, spesso dimenticati e senza la prospettiva di un avvenire sereno, anche a causa della crisi della foresta Amazzonica, polmone di capitale importanza per il nostro pianeta. I nuovi Santi intercedano per questo evento ecclesiale, affinché, nel rispetto della bellezza del creato, tutti i popoli della terra lodino Dio, Signore dell’universo, e da Lui illuminati percorrano cammini di giustizia e di pace”.
In vista della Giornata del rifiuto della miseria (17 ottobre) ha evidenziato che “la miseria non è una fatalità: ha delle cause che vanno riconosciute e rimosse, per onorare la dignità di tanti fratelli e sorelle, sull’esempio dei Santi”.
Gian Paolo Cassano

Avvisi della Parrocchia S. Valerio Occimiano

Martedì 10 Ottobre 2017

******** DOMENICA 8 ottobre 2017

* S. Messe nella settimana:
• Lunedì 9 ottobre: ore 8,30
• Martedì 10 ottobre: ore 8,30
• Mercoledì 11 ottobre: ore 8,30
• Giovedì 12 ottobre: ore 16,00
• Venerdì 13 ottobre: ore 18,00

* A partire da lunedì 9 ottobre:
• La S. Messa feriale è in Chiesa Parrocchiale (Cappella dell’Immacolata)

* Sabato 14 ottobre:
• Cattedrale, ore 21: saluto a Mons. Catella

* Sabato 21 ottobre
• Ordinazione episcopale a Biella di Mons. Gianni Sacchi

* Lunedì 16 ottobre:
• 247° anniversario della morte di padre Bonaventura
• Ritrovo: piazza Oratorio don Bosco: ore 17,00
• S. Messa a S. Maria del Tempio (ore 17,30).

La Parola di Papa Francesco

Mercoledì 4 Ottobre 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Proseguendo sul tema della speranza, particolare sui “nemici” di essa, all’Udienza generale mercoledì 27 settembre il Papa ha ricordato che “la speranza è la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti”, come i migranti, “per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari. Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare. La speranza è la spinta a ‘condividere il viaggio’, perché il viaggio si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra e noi che andiamo verso il loro cuore, per capirli, per capire la loro cultura, la loro lingua. E’ un viaggio a due, ma senza speranza quel viaggio non si può fare”. Parole che riscaldano il cuore e che fanno riferimento alla Campagna della Caritas che ha preso il via, per “condividere il viaggio” della vita.
Ora la speranza “non è virtù per gente con lo stomaco pieno”; per questo da sempre “i poveri sono i primi portatori della speranza”, sono “i mendicanti, sono i protagonisti della storia”. Così “per entrare nel mondo” Dio ha avuto bisogno proprio di loro: di Giuseppe e di Maria, dei pastori di Betlemme, “umili” che preparavano “nel nascondimento la rivoluzione della bontà”: poveri di tutto, ma ricchi del bene più prezioso che esiste al mondo, “cioè la voglia di cambiamento”. A volte, “aver avuto tutto dalla vita è una sfortuna”, perché non si desidera “più nulla”; questa è “la peggiore condanna”, chiudendo “la porta ai desideri, ai sogni”. Allora, specie nei giovani, cala “l’autunno” sul cuore e si diventa “giovani d’autunno”.
Il peggior ostacolo alla speranza è un’anima “vuota”, rischio che può capitare a tutti “anche quando si percorre il cammino della vita cristiana”. E’ l’accidia che “erode la vita dall’interno fino a lasciarla come un involucro vuoto” e che bisogna combattere e mai accettare “supinamente”. Bisogna custodire il nostro cuore, “opponendoci alle tentazioni di infelicità, che sicuramente non provengono da Dio”. E se la battaglia contro l’angoscia appare “particolarmente dura”, la via è quella di “ricorrere al nome di Gesù”, invocando il “Figlio di Dio vivo” di aver “pietà” di noi peccatori, con una preghiera di speranza: solo Cristo infatti può “spalancare le porte” e “risolvere il problema”, facendoci guardare “l’orizzonte della speranza”, perché “non siamo soli a combattere contro la disperazione”. Infatti “se Gesù ha vinto il mondo, è capace di vincere in noi tutto ciò che si oppone al bene”. Se Dio è con noi, nessuno ci ruberà quella virtù di cui abbiamo “assolutamente bisogno per vivere”: la speranza.
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Mercoledì 16 Agosto 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

All’Udienza generale di mercoledì 9 agosto il Pontefice ha parlato della misericordia divina e della Chiesa chiamata ad essere “un ospedale da campo e un luogo di guarigione, di ‎misericordia e di perdono e di essere la fonte di speranza per tutti i sofferenti, i ‎disperati, i poveri, i peccatori, e gli scartati”. Francesco si è riferito al brano evangelico della donna peccatrice che si si china sui suoi piedi (e che viene perdonata per i suoi peccati) nella casa di Simone il fariseo, suscitando grande scandalo tra i presenti. “Fin dagli inizi del suo ministero di Galilea, Egli avvicina i lebbrosi, gli indemoniati, tutti i malati e gli emarginati. Un comportamento del genere non era per nulla abituale, tant’è vero che questa simpatia di Gesù per gli esclusi, gli ‘intoccabili’, sarà una delle cose che più sconcerteranno i suoi contemporanei. Laddove c’è una persona che soffre, Gesù se ne fa carico, e quella sofferenza diventa sua. Gesù non predica che la condizione di pena dev’essere sopportata con eroismo, alla maniera dei filosofi stoici. Gesù condivide il dolore umano, e quando lo incrocia, dal suo intimo prorompe quell’atteggiamento che caratterizza il cristianesimo: la misericordia”. È per questo che “spalanca le braccia ai peccatori”. Oggi capita che molte gente perduri “in una vita sbagliata perché non trova nessuno disponibile a guardarlo o guardarla in modo diverso, con gli occhi, meglio, con il cuore di Dio, cioè guardarli con speranza. Gesù invece vede una possibilità di risurrezione anche in chi ha accumulato tante scelte sbagliate. Gesù sempre è lì, con il cuore aperto; spalanca quella misericordia che ha nel cuore; perdona, abbraccia, capisce, si avvicina: così è Gesù!”. Che tristezza per quanti non provano misericordia, soprattutto se si tratta di “cattolici che si credono perfetti e disprezzano gli altri”. La misericordia non è “un amore facile, a poco prezzo”, ricordandoci “quanto siamo costati all’amore di Dio. Ognuno di noi è costato abbastanza: la vita di Gesù! Lui l’avrebbe data anche solo per uno di noi”. Il Figlio di Dio vuole la liberazione totale, definitiva del cuore dell’uomo: “così i peccatori sono perdonati.” Non è solo un rasserenamento a livello psicologico, ma Gesù “offre alle persone che hanno sbagliato la speranza di una vita nuova.” Per questo “ci fa bene pensare che Dio non ha scelto come primo impasto per formare la sua Chiesa le persone che non sbagliavano mai. La Chiesa è un popolo di peccatori che sperimentano la misericordia e il perdono di Dio. Pietro ha capito più verità di sé stesso al canto del gallo, piuttosto che dai suoi slanci di generosità, che gli gonfiavano il petto, facendolo sentire superiore agli altri”. Siamo tutti “poveri peccatori bisognosi della misericordia di Dio che ha la forza di trasformarci e ridarci speranza, e questo ogni giorno.”
All’Angelus domenica 13 agosto ha ricordato che “la garanzia contro il naufragio è la fede in Cristo”, che “non è una scappatoia dai problemi della vita, ma sostiene nel cammino e gli dà un senso”. Francesco commentando il brano di Matteo in cui Gesù cammina sulle acque ha affermato che questa è una pagina che “ci fa riflettere sulla nostra fede, sia come singoli, sia come comunità ecclesiale “. Ora la barca è la vita di ognuno di noi come pure la vita della Chiesa alle prese con difficoltà e prove. Nell’invocazione di Pietro: «Signore, salvami!» possiamo cogliere il “nostro desiderio di sentire la vicinanza del Signore, ma anche la paura e l’angoscia che accompagnano i momenti più duri della vita nostra e delle nostre comunità, segnata da fragilità interne e da difficoltà esterne”. Anche a noi può capitare come a Pietro, a cui “non è bastata la parola sicura di Gesù”, quando “non ci si aggrappa alla parola del Signore ma, per avere più sicurezza, si consultano oroscopi e cartomanti”; allora “si comincia ad andare a fondo”. La fede in Dio non significa avere una vita facile e tranquilla, perché “la fede ci dà la sicurezza di una Presenza, quella presenza di Gesù, che ci spinge a superare le bufere esistenziali, la certezza di una mano che ci afferra per aiutarci ad affrontare le difficoltà, indicandoci la strada anche quando è buio”. Nella barca possiamo vedere l’immagine della Chiesa di tutti i tempi: “ciò che la salva non sono il coraggio e le qualità dei suoi uomini: la garanzia contro il naufragio è la fede in Cristo e nella sua parola, questa è la garanzia.” Su questa barca siamo al sicuro, nonostante le nostre miserie e debolezze, specialmente quando in ginocchio diciamo al Signore: “davvero tu sei il Figlio di Dio!”. Che bello dire a Gesù questa parola!
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Martedì 8 Agosto 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

All’Udienza generale mercoledì 2 agosto (dopo la pausa di luglio) Francesco ha parlato della luce, segno di speranza per “tramettere alle generazioni future ragioni di vita”. Il Pontefice è partito dall’uso antico dell’orientamento delle Chiese verso est entrando da una porta aperta verso Occidente per camminare nella navata verso Oriente, allegoria del “tramonto, dove muore la luce” e dell’aurora, dove “le tenebre vengono vinte dalla prima luce” del giorno, richiamando “il Cristo, Sole sorto dall’alto orizzonte del mondo”. Il riferimento è andato anche agli antichi riti del Battesimo con  la rinuncia a Satana rivolti ad Ovest e la professione di fede verso Est. Se oggi “abbiamo perso la sensibilità al linguaggio del cosmo”, essere cristiani “vuol dire guardare alla luce, continuare a fare la professione di fede nella luce, anche quando il mondo è avvolto dalla notte e dalle tenebre”. Essi “non sono esenti dalle tenebre, esterne e anche interne. Non vivono fuori dal mondo, però, per la grazia di Cristo ricevuta nel Battesimo, sono uomini e donne ‘orientati’.” Infatti “non credono nell’oscurità, ma nel chiarore del giorno; non soccombono alla notte, ma sperano nell’aurora; non sono sconfitti dalla morte, ma anelano a risorgere; non sono piegati dal male, perché confidano sempre nelle infinite possibilità del bene”. I cristiani sono coloro “che credono che Dio è Padre” e “che Gesù è sceso in mezzo a noi”, il “compagno soprattutto dei più poveri e fragili”. Noi “crediamo che lo Spirito Santo opera senza sosta per il bene dell’umanità” e che “i dolori più grandi della storia verranno superati: questa è la speranza che ci ridesta ogni mattina!”. Noi “crediamo che ogni affetto, ogni amicizia, ogni buon desiderio, ogni amore” avranno compimento in Dio, così da “abbracciare con entusiasmo la nostra vita di tutti i giorni!” Ancora una volta poi il Papa ha esortato tutti i fedeli a ricordare la data del proprio Battesimo, la cui grazia mi fa diventare “‘portatore di Gesù’ nel mondo! Soprattutto per coloro che attraversano situazioni di lutto, di disperazione, di tenebre e di odio”. E’ una testimonianza che passa “da tanti piccoli particolari: dalla luce che un cristiano custodisce negli occhi, dal sottofondo di serenità che non viene intaccato nemmeno nei giorni più complicati, dalla voglia di ricominciare a voler bene anche quando si sono sperimentate molte delusioni (…) Se saremo fedeli al nostro Battesimo, diffonderemo la luce della speranza, il Battesimo è l’inizio della speranza, quella speranza di Dio e potremo trasmettere alle generazioni future ragioni di vita”.
All’Angelus di domenica 6 agosto il Papa ha ricordato che “l’evento della Trasfigurazione del Signore ci offre un messaggio di speranza: ci invita ad incontrare Gesù, per essere al servizio dei fratelli.” E’ un invito “a riflettere sull’importanza di staccarci dalle cose mondane, per compiere un cammino verso l’alto” e a ricercare, “momenti intimi di preghiera” per accogliere “la Parola di Dio”. Infatti “siamo chiamati a riscoprire il silenzio pacificante e rigenerante della meditazione del Vangelo, della lettura della Bibbia, che conduce verso una meta ricca di bellezza, di splendore e di gioia.” Così “il tempo estivo” può diventare un “momento provvidenziale” per accrescere un “impegno di ricerca e di incontro con il Signore”. Ripensando quindi ai discepoli che “scesero dal monte con occhi e cuore trasfigurati dall’incontro con Gesù”, ha indicato un “percorso che possiamo compiere anche noi”, perché, “ricaricati della forza dello Spirito divino”, possiamo “decidere nuovi passi di autentica conversione” e “testimoniare costantemente la carità, come legge di vita quotidiana”. Così “trasformati dalla presenza di Cristo e dall’ardore della sua parola, saremo segno concreto dell’amore vivificante di Dio per tutti i nostri fratelli, specialmente per chi soffre, per quanti si trovano nella solitudine e nell’abbandono, per gli ammalati e per la moltitudine di uomini e di donne che, in diverse parti del mondo, sono umiliati dall’ingiustizia, dalla prepotenza e dalla violenza”.
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Lunedì 31 Luglio 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Domenica 30 luglio, all’Angelus, nella Giornata internazionale promossa dall’Onu contro la tratta e il traffico di esseri umani, Francesco ha rivolto un accorato appello perché tutti contrastino con impegno adeguato “questa piaga aberrante”, questa forma di “schiavitù moderna”, pensando alle “migliaia di vittime innocenti ogni anno dello sfruttamento lavorativo e sessuale e del traffico di organi”.
Riferendosi al Vangelo domenicale, il Papa ha indicato in Gesù la “scoperta fondamentale che può dare una svolta decisiva alla nostra vita riempiendola di significato”. E’ Cristo il “tesoro nascosto” e “la perla di grande valore”. Ora per raggiungere il Regno di Dio che si fa presente nella persona di Gesù è necessaria la “ricerca” ed il “sacrificio”. La ricerca è la “condizione essenziale per trovare”, perché il “Regno di Dio è offerto a tutti, è un dono, è un regalo, è grazia, ma non è messo a disposizione su un piatto d’argento, richiede dinamismo: si tratta di cercare, camminare e darsi da fare”. Bisogna dunque che “il cuore bruci dal desiderio di raggiungere il bene prezioso” che è Gesù. Ma occorre anche il “sacrificio”, come i protagonisti della parabola matteana che “vendono tutto quello che possiedono”, perché la valutazione del “valore inestimabile del tesoro” implica “sacrificio, distacchi e rinunce”; ciò vuol dire “che quando abbiamo trovato il Signore occorre non lasciare sterile questa scoperta, ma sacrificare ad essa ogni cosa”. Ora “porre Gesù al primo posto” e” porre la Grazia al primo posto”, non significa “privazione” o “disprezzo di tutto il resto”, ma “trovare la gioia piena che solo il Signore può donare”. E’ la “gioia evangelica dei malati guariti; dei peccatori perdonati; del ladrone a cui si apre la porta del paradiso”, la gioia di “ognuno di noi che scopre la vicinanza e la presenza consolante di Gesù nella vita”, una presenza che “trasforma il cuore” per essere “testimoni con parole e gesti quotidiani della gioia di aver trovato il tesoro del Regno di Dio”.
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Mercoledì 26 Luglio 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Domenica 23 luglio, all’Angelus, il Pontefice ha rivolto un “accorato appello alla moderazione e al dialogo” in Medio Oriente, invitando ad unirsi nella preghiera, “affinché il Signore ispiri a tutti propositi di riconciliazione e di pace”.
Commentando il testo evangelico della parabola della zizzania ha ricordato che “la linea di confine tra il bene e il male passa nel cuore di ogni persona” perché “siamo tutti peccatori”. La parabola del “grano buono” e della “zizzania” illustra “il problema del male nel mondo” e mette in risalto “la pazienza di Dio”. Ora “Gesù ci dice che in questo mondo il bene e il male sono talmente intrecciati, che è impossibile separarli ed estirpare tutto il male. Solo Dio può fare questo, e lo farà nel giudizio finale”. Quindi “con le sue ambiguità e il suo carattere composito”; ma qui “è il campo della libertà, il campo della libertà dei cristiani, in cui si compie il difficile esercizio del discernimento fra il bene e il male”. Francesco ha esortato i fedeli a coniugare decisione e pazienza, due atteggiamenti apparentemente contradditori: da una parte “la decisione di voler essere buon grano” e “con tutte le proprie forze”, prendendo “le distanze dal maligno e dalle sue seduzioni”, dall’altra “la pazienza” che significa preferire una Chiesa “che non teme di sporcarsi le mani lavando i panni dei suoi figli” ad “una Chiesa di ‘puri’, che pretende di giudicare prima del tempo chi sta nel Regno di Dio e chi no”. Occorre perciò riconoscere il peccato “che è in noi”: il Signore “oggi ci aiuta a comprendere che il bene e il male non si possono identificare con territori definiti o determinati gruppi umani: ‘Questi sono i buoni, questi sono i cattivi’”, ma “la linea di confine tra il bene e il male passa nel cuore di ogni persona, passa nel cuore di ognuno di noi, cioè siamo tutti peccatori.” Infatti “guardare sempre e soltanto il male che sta fuori di noi significa non voler riconoscere il peccato che c’è anche in noi”. Gesù ci libera dalla schiavitù del peccato, ci dà la grazia di camminare in una vita nuova; per questo ci ha dato la Confessione perché sempre “abbiamo bisogno di essere perdonati dai nostri peccati”.
Gesù inoltre ci insegna ad imparare “i tempi di Dio”, che “non sono i nostri tempi”, ed assumere il suo “sguardo” perché grazie all’attesa “ciò che era o sembrava zizzania, può diventare un prodotto buono”. Questa “è la realtà della conversione. E’ la prospettiva della speranza!”, Con l’aiuto di Maria potremo “cogliere nella realtà” non soltanto “la sporcizia e il male”, ma pure “il bene e il bello”, confidando “nell’azione di Dio che feconda la storia” e smascherando “l’opera di Satana”.
Gian Paolo Cassano

La parola di Papa Francesco

Lunedì 17 Luglio 2017

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Gesù usava un linguaggio semplice, servendosi “anche di immagini che erano esempio di vita quotidiana in modo da poter essere compreso facilmente da tutti”: lo ha ricordato il Papa all’Angelus di domenica 16 luglio. “Per questo lo ascoltavano volentieri e apprezzavano il suo messaggio che arrivava dritto nel loro cuore; e non era quel linguaggio complicato da comprendere, quello che usavano i Dottori della Legge del tempo, che non si capiva bene ma che era pieno di rigidità e allontanava la gente. E con questo linguaggio Gesù faceva capire il mistero del Regno di Dio: non era una teologia complicata”.
Gesù si identifica con il seminatore: “non ci attira conquistandoci, ma donandosi”, spargendo “con pazienza e generosità la sua Parola, che non è una gabbia o una trappola, ma un seme che può portare frutto”, se noi lo accogliamo. Gesù nel Vangelo fa una “radiografia spirituale” del nostro cuore, che è il terreno sul quale cade il seme della Parola: se è un terreno buono “allora la Parola porta frutto, e tanto,” ma può essere anche impermeabile, “quando sentiamo la Parola, ma essa ci rimbalza addosso, proprio come su una strada”. Può essere un terreno sassoso, quando il seme germoglia, ma non riesce a mettere radici: “così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non ‘decolla’ mai. È un cuore senza spessore, dove i sassi della pigrizia prevalgono sulla terra buona, dove l’amore è incostante e passeggero. Ma chi accoglie il Signore solo quando gli va, non porta frutto”. C’è poi il terreno spinoso, pieno di rovi che soffocano le piante buone. Sono la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza, “sono i vizi che fanno a pugni con Dio, che ne soffocano la presenza: anzitutto gli idoli della ricchezza mondana, il vivere avidamente, per sé stessi, per l’avere e per il potere. Se coltiviamo questi rovi, soffochiamo la crescita di Dio in noi. Ciascuno può riconoscere i suoi piccoli o grandi rovi, i vizi che abitano nel suo cuore, quegli arbusti più o meno radicati che non piacciono a Dio e impediscono di avere il cuore pulito. Occorre strapparli via, altrimenti la Parola non porterà frutto”.
Di qui l’invito a trovare “il coraggio di fare una bella bonifica del terreno, una bella bonifica del nostro cuore, portando al Signore nella Confessione e nella preghiera i nostri sassi e i nostri rovi. Così facendo, Gesù, buon seminatore, sarà felice di compiere un lavoro aggiuntivo: purificare il nostro cuore, togliendo i sassi e le spine che soffocano la sua Parola”.
Gian Paolo Cassano