NUOVI SANTI
a cura di Gian Paolo Cassano
La Chiesa si arricchisce di 115 nuovi beati martiri. Sono quelli che sono stati proclamati sabato 25 marzo ad Almería, in Spagna. Il Papa, all’Angelus di domenica 26 marzo li ha ricordati: “questi sacerdoti, religiosi e laici sono stati testimoni eroici di Cristo e del suo Vangelo di pace e di riconciliazione fraterna. Il loro esempio e la loro intercessione sostengano l’impegno della Chiesa nell’edificare la civiltà dell’amore”.
Il rito è stato presieduto dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Sono 115 martiri della guerra civile spagnola: sacerdoti e laici, uomini e donne, torturati e uccisi nel 1936 per la loro fede, perdonando i loro assassini. Tra di loro il sacerdote Álvarez Benavides y de la Torre, decano della cattedrale di Almería.
“In quegli anni, in Spagna – ha detto il card. Amato alla Radio vaticana – si scatenò contro la Chiesa, i suoi ministri e i suoi fedeli, la grande persecuzione, che costò la vita a migliaia di persone, uomini e donne, laici e consacrati, uccisi solo perché cattolici. Tutte le diocesi diedero il loro contributo martiriale.”
Occorre ricordarli per il dovere della memoria, per non disperdere un patrimonio incomparabile di obbedienza al Dio della vita e alla sua parola di carità, poiché “il cristianesimo – ricrda il prefetto – è la religione della carità e della vita e si oppone a ogni forma di prevaricazione e di violenza.”
Tra tutti emerge don José Álvarez- Benavides de la Torre, decano della cattedrale di Almería, capofila di questo gruppo di martiri, che era un pastore di grande personalità, di eccezionale prestigio e di specchiata virtù. “Preso negli ultimi giorni di luglio del 1936 – racconta il card. Amato – la sua prigione fu una barca per il trasporto del ferro. I suoi vestiti e quelli degli altri prigionieri erano diventati neri come il carbone e il clima, data la stagione estiva, era asfissiante. Ciononostante don José riuscì a creare tra i prigionieri un clima di raccoglimento e di preghiera. Richiesto, sotto innumerevoli e crudeli forme di tortura, di rinnegare la fede e di bestemmiare il nome di Cristo, egli si oppose fino alla fine. Mori fucilato, confessando Cristo Re e perdonando i suoi aguzzini.”
C’erano anche dei laici in questo gruppo di martiri, come Luis Belda y Soriano de Montoya, di 34 anni, appartenente all’Azione cattolica e avvocato di stato: era “una persona pia – aggiunge il cardinale – preoccupata di aiutare i bisognosi che si rivolgevano a lui. Era di messa e comunione quotidiana. Aveva un grande spirito apostolico: visitava gli ammalati, teneva conferenze sulla famiglia, sull’educazione dei figli, sulla difesa dei non nati. Educava tutti al rispetto del prossimo. Devoto della Beata Vergine, recitava quotidianamente il Rosario. Amava la Chiesa, era fedele al Papa e obbediente al Vescovo. Si consegnò volontariamente ai miliziani, per non compromettere la sua famiglia. L’unico motivo della sua prigionia era quello di essere cattolico. Le sue ultime parole, gridate alla moglie dalla barca, prima della fucilazione, furono: «Perdono di cuore tutti coloro che mi hanno offeso e coloro che mi possono far male». I suoi resti mortali furono trovati che galleggiavano sulle onde vicino alla spiaggia.”
C’erano anche delle donne, come Carmen Godoy Calvache, di 49 anni, persona caritatevole, che utilizzava il denaro in opere di carità e lo faceva con generosità che venne prima privata dei suoi beni, poi sottoposta a ogni possibile maltrattamento, soprattutto da parte delle miliziane, che si divertivano a torturarla, condannandola alla fame e alla sete.
Gian Paolo Cassano
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