La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

L’udienza generale di mercoledì 1 giugno è stata dedicata alla parabola del fariseo e del pubblicano, ricordando l’efficacia dell’umiltà, condizione necessaria per ottenere la misericordia, e mettendo in guardia dal fariseismo.
Non basta domandarci “quanto preghiamo” ma “come preghiamo”, cioè se nel nostro cuore vi sono “arroganza” e “ipocrisia”, perché non si può pregare con arroganza e ipocrisia: bisogna invece recuperare il silenzio e “ritrovare il cammino verso il nostro cuore”. Infatti “è lì” che Dio ci parla e solo a partire “da lì” possiamo incontrare gli altri. Al contrario del fariseo, il pubblicano, è umile e pentito: “la parabola insegna che si è giusti o peccatori non per la propria appartenenza sociale, ma per il modo di rapportarsi con Dio e per il modo di rapportarsi con i fratelli”. Il fariseo aveva tutto, mentre il pubblicano può solo mendicare la misericordia di Dio: è bello “mendicare la misericordia di Dio. Presentandosi ‘a mani vuote’, con il cuore nudo e riconoscendosi peccatore, il pubblicano mostra a tutti noi la condizione necessaria per ricevere il perdono del Signore. Alla fine proprio lui, così disprezzato, diventa un’icona del vero credente”. Il fariseo, invece, è l’icona del corrotto, “che fa finta di pregare, ma soltanto riesce a pavoneggiarsi di se stesso davanti a uno specchio. E’ un corrotto ma fa finta di pregare. Così, nella vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza, è un corrotto e un ipocrita”. Il Papa ha poi spiegato che “Dio predilige l’umiltà” perché “è la condizione necessaria per essere rialzati da Lui” e quindi occorre “sperimentare la misericordia”, perché “se la preghiera del superbo non raggiunge il cuore di Dio, l’umiltà del misero lo spalanca. Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili. Davanti a un cuore umile, Dio apre il suo cuore totalmente”. E’ l’umiltà della Vergine Maria: “ci aiuti lei a pregare con cuore umile”.
Cercare, includere, gioire. Su questi punti si è fermato Francesco nella S. Messa conclusiva (giovedì 3 giugno) del Giubilo dei sacerdoti; nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il Papa ha innanzitutto chiesto ai presbiteri di domandarsi dove sia orientato il loro cuore.
I tesori “insostituibili del Cuore di Gesù sono due”: “il Padre e noi”. E così deve essere anche il cuore del sacerdote orientato solo in “due direzioni, il Signore e la gente”. Il suo “non è più un cuore ballerino, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni; è peccatore. E’ invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli. E lì risolve i suoi peccati”.
Per avere un cuore di Buon Pastore “possiamo allenarci a fare nostre tre azioni: cercare, includere e gioire”, con un cuore sempre inquieto finché non ritrova la pecorella smarrita. “Guai ai pastori che privatizzano il loro ministero!” Invece “il pastore secondo il cuore di Dio non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome”, “senza temere le critiche, è disposto a rischiare (…) pur di imitare il suo Signore”. Il sacerdote “non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso. Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Se il pastore non rischia, non trova. Non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene, unto della divina ostinazione che nessuno si smarrisca. Per questo non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare”.
Il sacerdote “è sempre in uscita da sé. L’epicentro del suo cuore si trova fuori di lui: è un decentrato da se stesso, soltanto centrato in Gesù”, perché il “suo gregge è la sua famiglia e la sua vita. Non è un capo temuto dalle pecore, ma il Pastore che cammina con loro e le chiama per nome” e “nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso”. Egli è un Buon Pastore che “non conosce i guanti. Ministro della comunione che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a ricomporre le liti. E’ un uomo che sa includere”.
Francesco ha infine rivolto l’attenzione al gioire, alla gioia che deve contraddistinguere la vita dei sacerdoti, che “non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore”.
Il presbitero “viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona. Gratuitamente dona. Nella preghiera scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio”.
“Gesù chiede per sé la nostra morte, per liberarcene e ridarci la vita”, così Papa Francesco nella Messa celebrata domenica 5 giugno per la Canonizzazione del Beato polacco Stanislao di Gesù Maria, fondatore dei Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, e della Beata svedese Maria Elisabetta Hesselblad, fondatrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida. Richiamando le Letture del giorno, il Papa ha spiegato che “Gesù chiede per sé la nostra morte, per liberarcene e ridarci la vita”. “Anche con i peccatori, Gesù non cessa di far risplendere la vittoria della grazia che dà vita” e “dice alla Madre Chiesa: ‘Dammi i tuoi figli’, che siamo tutti noi. Egli prende su di sé i nostri peccati, li toglie e ci restituisce vivi alla Chiesa stessa. E ciò avviene in modo speciale durante questo Anno Santo della Misericordia. La Chiesa oggi ci mostra due suoi figli che sono testimoni esemplari di questo mistero di risurrezione”.
Dopo la Messa, all’Angelus, Papa Francesco ha salutato le autorità polacche e svedesi ed ha invitato i fedeli alla “preghiera alla Vergine Maria, perché ci guidi sempre nel cammino della santità e ci sostenga nel costruire giorno per giorno la giustizia e la pace”.

Gian Paolo Cassano

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