La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Il 9° viaggio apostolico internazionale (il più lungo finora compiuto dal Papa) è stato un po’ come un ritorno a casa, in America Latina, anche se non in Argentina (dal 5 al 13 luglio), toccando Ecuador, Bolivia e Paraguay, per “essere testimone della gioia del Vangelo” e portare la tenerezza e la carezza di Dio, specialmente “ai suoi figli più bisognosi, agli anziani, ai malati, ai detenuti, ai poveri, a quanti sono vittime di questa cultura dello scarto”.
In Ecuador il Pontefice ha toccato Guayaquil e Quito. Arrivando ha invitato al dialogo e alla partecipazione senza esclusioni e che le “chiavi” per affrontare le sfide di oggi sono nel Vangelo.
A Guayaquil, davanti ad oltre un milione di fedeli ha presieduto la Messa nel Parco de Los Samanes ha tenuto un’intensa meditazione sulla famiglia, pensando soprattutto alle tante realtà familiari ferite: “quanti nostri adolescenti e giovani percepiscono che nelle loro case ormai da tempo non c’è più questo vino! Quante donne sole e rattristate si domandano quando l’amore se n’è andato, quando l’amore è scivolato via dalla loro vita! Quanti anziani si sentono lasciati fuori dalle feste delle loro famiglie, abbandonati in un angolo e ormai senza il nutrimento dell’amore quotidiano dei loro figli, dei loro nipoti e pronipoti! La mancanza di vino può essere anche la conseguenza della mancanza di lavoro, delle malattie, delle situazioni problematiche che le nostre famiglie in tutto il mondo attraversano”. Per questo ha inviato a guardare a Maria, attenta a tutte queste situazioni: “è madre” premurosa e “si rivolge con fiducia a Gesù”, prega perché intervenga. E’ Lei che “ci insegna a porre le nostre famiglie nelle mani di Dio; ci insegna a pregare, alimentando la speranza che ci indica che le nostre preoccupazioni sono anche le preoccupazioni di Dio. E pregare ci fa sempre uscire dal recinto delle nostre preoccupazioni, ci fa andare oltre quello che ci fa soffrire, quello che ci agita o ci manca, e ci aiuta a metterci nei panni degli altri, a metterci nelle loro scarpe. La famiglia è una scuola dove il pregare ci ricorda anche che c’è un ‘noi’, che esiste un prossimo vicino, evidente, che vive sotto lo stesso tetto, che condivide con noi la vita e ha delle necessità”. Quindi ha rilanciato le tre parole che vanno imparate in famiglia: permesso, scusa, grazie, “piccoli gesti” che “aiutano a costruire”, in particolare là dove è più forte la sofferenza. A Quito, celebrando l’Eucaristia (al Parque del Bicentenario), ha ricordato come il compito dei cristiani sia quello di creare l’unità della Chiesa e della società, perché Gesù non ha pregato per un’“élite” ma per “una grande famiglia, nella quale Dio è nostro Padre e tutti noi siamo fratelli”. Noi “viviamo in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza”, ma “Gesù ci invia proprio a questo mondo che ci sfida, con i suoi egoismi, e la nostra risposta non è fare finta di niente, sostenere che non abbiamo mezzi o che la realtà ci supera. La nostra risposta riecheggia il grido di Gesù e accetta la grazia e il compito dell’unità”. La vera libertà non nasce dai “personalismi” ma nella capacità di “riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti. Capacità, afferma, che sono esattamente proprie dell’evangelizzazione, “veicolo di unità di aspirazioni, di sensibilità, di sogni e persino di certe utopie”. Ora “l’evangelizzazione non consiste nel fare proselitismo: il proselitismo è una caricatura dell’evangelizzazione”. Evangelizzare è sia “un’azione verso l’esterno”, un “attrarre con la nostra testimonianza i lontani”, un avvicinarsi “a quelli che si sentono giudicati e condannati a priori da coloro che si sentono perfetti e puri”. Ma è anche un essere missionari “verso l’interno”, in quel luogo di comunione dove “l’intimità di Dio” si manifesta all’evangelizzatore come “comunicazione, donazione, amore”. Di qui l’incoraggiamento forte ad “una testimonianza di comunione fraterna che diventa risplendente (…) Questo significa evangelizzare, questa è la nostra rivoluzione, perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria; questo è il nostro più profondo e costante grido”. Incontrando il mondo della scuola e dell’università ha ricordato che siamo chiamati “con urgenza” a pensare e discutere del creato, del male che abbiamo provocato col l’“abuso dei beni” che Dio ci ha donato, impegnandoci a non “girare le spalle alla nostra realtà, ai nostri fratelli”. E’ vero che “un povero che muore di freddo e di fame oggi non è una notizia, ma se le borse delle principali capitali del mondo vanno giù di due o tre punti si arma un grande scandalo globale. Mi chiedo: dov’è tuo fratello? E vi chiedo di farla di nuovo, tutti, questa domanda, e di allargarla a tutta l’università”. Nella  Chiesa di San Francisco di Quito, l’edificio cattolico più antico di tutta l’America Latina ha incontrato gli esponenti della società civile sottolineando un tema a lui molto caro: l’inclusione di ogni persona per sconfiggere la cultura dello scarto e centrando il suo intervento in particolare su tre punti: gratuità, solidarietà e sussidiarietà. “Nelle famiglie tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono”. Ora “i beni sono destinati a tutti, e per quanto uno ostenti la sua proprietà, che è lecito, pesa su di essi un’ipoteca sociale. Sempre”. Dalla fraternità vissuta in famiglia nasce “la solidarietà nella società, che non consiste solo nel dare ai bisognosi, ma nell’essere responsabili l’uno dell’altro. Se vediamo nell’altro un fratello, nessuno può rimanere escluso, separato”. Francesco ha infine rivolto l’attenzione alla dimensione della sussidiarietà: “riconoscendo ciò che c’è di buono negli altri, anche con i loro limiti vediamo la ricchezza che caratterizza la diversità e il valore di complementarità. Gli uomini, i gruppi hanno il diritto di compiere il loro cammino, anche se questo a volte porta a commettere errori”.
In Bolivia, al 2° Incontro mondiale del Movimenti Popolari, giovedì 9 luglio a Santa Cruz della Sierra, ha ribadito che bisogna ascoltare il grido degli esclusi, difendere la Madre Terra sempre più devastata, assicurando la vicinanza sua personale e della Chiesa alle battaglie dei movimenti e delle forze sociali. Francesco si è fatto “megafono planetario” degli ultimi in un vibrante discorso, ricordando innanzitutto che “Dio ascolta il grido del suo popolo”. Di fronte ai contadini senza terra, a famiglie senza casa e lavoratori senza diritti dobbiamo riconoscere che “abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento” perché “questo sistema non regge più”. La “globalizzazione della speranza che nasce dai popoli e cresce tra i poveri deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza”. Infatti “quando il capitale diventa idolo e dirige le scelte degli esseri umani, quando l’avidità di denaro controlla l’intero sistema socioeconomico, rovina la società, condanna l’uomo, lo fa diventare uno schiavo, distrugge la fraternità umana, spinge popolo contro popolo e, come si vede, minaccia anche questa nostra casa comune, la sorella e madre terra”. Il Papa ha così incoraggiato gli umili, gli esclusi, dai cartoneros argentini ai giovani senza lavoro, dai contadini indigeni ai venditori ambulanti a non cadere nel pessimismo di pensare che non possano fare niente per risolvere i propri problemi. Ha poi riaffermato il diritto alle tre “T”, tierra, techo y trabayo ovvero “terra, casa e lavoro”, invitando le forze popolari a cercare “di risolvere alla radice i problemi generali di povertà, disuguaglianza ed esclusione” ed “opponendo una resistenza attiva al sistema idolatrico che esclude, degrada e uccide”. Poi si è rivolto ai leader mondiali chiedendo di essere “creativi”, di costruire su “basi solide, sulle esigenze reali” dei “lavoratori, degli esclusi e delle famiglie emarginate”. Quindi, Francesco ha proposto tre grandi compiti che richiedono “l’appoggio determinante dell’insieme di tutti i Movimenti Popolari”. Si tratta innanzitutto “di mettere l’economia al servizio dei popoli: gli esseri umani e la natura non devono essere al servizio del denaro.” Ed ha ammonito che un sistema economico “irresponsabile” che “continua a negare a miliardi di fratelli i più elementari diritti economici, sociali e culturali”, “attenta al progetto di Gesù”. Un sistema diverso “è un dovere morale” e per i cristiani “è un comandamento”, restituendo “ai poveri e ai popoli” ciò che a loro appartiene. “Il secondo compito è quello di unire i nostri popoli nel cammino della pace e della giustizia”, perché “i popoli del mondo vogliono essere artefici del proprio destino” e perché “nessun potere di fatto e costituito ha il diritto di privare i Paesi poveri del pieno esercizio della propria sovranità”. Francesco ha denunciato così le nuove facce del colonialismo come “il potere anonimo dell’idolo denaro” o il “colonialismo ideologico”, veicolato dalla “concentrazione dei mezzi di comunicazione che cerca di imporre alienanti modelli di consumo e una certa uniformità culturale”. Come S. Giovanni Paolo II ha chiesto “umilmente perdono non solo per le offese della propria Chiesa, ma per i crimini contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America”. Al tempo stesso, ha ricordato tutti coloro che “hanno predicato e predicano” il Vangelo “molte volte a fianco delle popolazioni indigene o accompagnando i movimenti popolari anche fino al martirio”. La nostra fede “è rivoluzionaria, perché la nostra fede sfida la tirannia dell’idolo denaro” denunciando ancora una volta quella che ha definito “la terza guerra mondiale a rate”. C’è poi “il terzo compito, forse il più importante che dobbiamo assumere oggi” che “è quello di difendere la Madre Terra. La codardia nel difenderla è un peccato grave”, perché “non si può consentire che certi interessi” si “impongano, sottomettano gli Stati e le organizzazioni internazionali e continuino a distruggere il creato”. Giovedì 9 luglio, appena arrivato in Bolivia, nella cattedrale di La Paz, il Papa si era rivolto alle autorità civili, dicendo che “se la politica è dominata dalla speculazione finanziaria o l’economia si regge solo sul paradigma tecnocratico e utilitaristico… non si potranno risolvere i grandi problemi che affliggono l’umanità”. Tutto questo passa attraverso un maggiore rispetto per la persona umana e la politica, che non deve essere dominata “dalla speculazione finanziaria”; l’economia non si deve reggere “solo sul paradigma tecnocratico e utilitaristico della massima produzione”, perché altrimenti “non si potranno neppure comprendere, né tantomeno risolvere i grandi problemi che affliggono l’umanità”. Papa Francesco ha poi sostato brevemente presso il luogo dell’assassinio di padre Luis Espinal, sacerdote gesuita che aveva partecipato durante il periodo della dittatura alle lotte sociali accanto alle famiglie dei minatori.
Incontrando i religiosi (venerdì 10 luglio) ha considerato come i cristiani non siano testimoni di una ideologia, ma della misericordia di Gesù che li rende capaci di avvicinarsi al dolore della gente. Ha ascoltato alcune significative testimonianze e, a partire dal vangelo di Bartimeo, ha elencato tre reazioni dei seguaci di Gesù davanti al dolore dell’uomo: quella di chi passa accanto ma resta nell’indifferenza, non si lascia toccare, si è abituato all’ingiustizia, quella di chi ordina di stare  zitto, di  non disturbare, di chi continua a brontolare, a rimproverare e quella di chi fa come Gesù che “si ferma di fronte al grido di una persona e si impegna con lui. Mette radici nella sua vita.”
Significativa poi sabato 11 luglio in Paraguay la visita ai bambini malati ad Asunción, nell’ospedale pediatrico “Niños de Acosta Ñú”, chiamando questi giovani malati “veri lottatori”, dicendo: “dobbiamo imparare da voi, dalla vostra fiducia, gioia, tenerezza . Dalla vostra capacità di lotta, dalla vostra fortezza. Dalla vostra imbattibile capacità di resistenza”. A Bañado Norte, uno dei quartieri più poveri di Asunción in una zona acquitrinosa e spesso inondata dal fiume Paraguay, Papa Francesco è entrato in quelle povere case, ha visto volti, ascoltato storie. A loro ha detto: “voglio farmi prossimo. Voglio benedire la vostra fede, benedire le vostre mani, benedire la vostra comunità. Sono venuto a rendere grazie con voi, perché la fede si è fatta speranza ed è speranza che stimola l’amore. La fede che Gesù suscita è una fede con la capacità di sognare il futuro e di lottare per esso nel presente”.Il Papa ha incoraggiato infine gli abitanti di Bañado Norte a continuare “ad essere missionari”, ad “essere prossimi specialmente dei più giovani e degli anziani” e “sostegno delle giovani famiglie e di coloro che stanno attraversando momenti di difficoltà”.
Celebrando la S. Messa nel Santuario di Caacupé, dedicato all’Immacolata Concezione, ha indicato in Maria “una Madre che ha imparato ad ascoltare e a vivere in mezzo a tante difficoltà”. Ripercorrendo la sua vita ci sentiamo compresi perché “la sua vita è testimonianza che Dio non delude, che Dio non abbandona il suo Popolo, anche se ci sono momenti o situazioni in cui sembra che Lui non ci sia”. Come Maria, anche le donne e le madri paraguayane hanno vissuto situazioni molto difficili e hanno continuato a credere, anche “sperando contro ogni speranza”. Rivolgendosi a loro ha aggiunto: “voi avete la memoria, il patrimonio genetico di quelle che hanno ricostruito la vita, la fede, la dignità del vostro Popolo, insieme a Maria”. Al termine della celebrazione eucaristica, il Pontefice ha rinnovato l’atto di affidamento del Paraguay a Maria, fatto da San Giovanni Paolo II, nel Santuario di Caacupé, il 18 maggio del 1988.
Festoso è stato sempre l’incontro con i giovani. Così domenica 12 luglio sulla spiaggia di Costanera, ad Asunción, con i giovani paraguayani, ha sottolineato che la libertà è dono di Dio, ma occorre saperla ricevere e avere un cuore libero da tanti vincoli come lo sfruttamento, la mancanza di mezzi di sussistenza, la dipendenza dalla droga, la tristezza.
Ha poi chiesto nella preghiera al Signore di “sognare cose grandi, cose belle, cose che anche se possono sembrare quotidiane, sono cose che allargano il cuore” e di avere forza, cuore libero, speranza, amore … Gesù ci mostra la strada, “ci indica una via che è vita e verità”, perché “la felicità, quella vera, quella che riempie il cuore non si trova nei vestiti costosi che indossiamo …. La felicità vera sta nell’essere sensibili, nell’imparare a piangere con quelli che piangono, nello stare vicini a quelli che sono tristi, nel dare una mano, un abbraccio” Sono “felici coloro che sanno mettersi nei panni dell’altro, che hanno la capacità di abbracciare, di perdonare”.
Gian Paolo Cassano

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