La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Breve, ma intenso il viaggio che il Papa ha compiuto sabato 6 giugno, come “come pellegrino di pace e dialogo” a Sarajevo, una città che dopo aver “sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso” è tornato ad essere “luogo di dialogo e pacifica convivenza”. Sarajevo “è passata da una cultura dello scontro, della guerra a una cultura dell’incontro”, in una città che “ricevette l’appellativo di Gerusalemme d’Europa”. La Bosnia Erzegovina riveste “uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero” ed oggi “anche le gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con animo libero da paure e rancori i quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare”. Essa “è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei e sono nel medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili”. In questa terra “la pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad accrescerle ulteriormente, le relazioni cordiali e fraterne tra musulmani, ebrei e cristiani, rivestono un’importanza che va ben al di là dei suoi confini”, perché “testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire”.
Celebrando l’Eucaristia nello stadio Kosevo di Sarajevo, gremito in ogni suo angolo ha incoraggiato ad essere “artigiani di pace” in un tempo in cui si percepisce un clima di guerra. Di fronte alla memoria di migliaia di innocenti (nella guerra che ha insanguinato questa terra negli anni ’90 del XX secolo) è risuonato il richiamo alla pace, “parola profetica per eccellenza” che “è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato”, ma è anche un progetto “che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno”. Infatti “anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra”. Il Pontefice ha ricordato come Gesù proclami beati non i predicatori, ma “gli operatori di pace, cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia… Questi sì, ‘saranno chiamati figli di Dio’, perché Dio semina pace, sempre, dovunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la pace! Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi”.
Ora questo non dipende “solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio”, ma “la pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace”. Nella Cattedrale ha incontrato sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi, candidati e candidate agli ordini religiosi, accolto dall’arcivescovo di Sarajevo, il card. Vinko Puljić, che ha ricordato come molti dei religiosi di Bosnia ed Erzegovina siano segnati dalla guerra, dal regime comunista e “oggi dall’aggressivo relativismo”.
Dopo aver attentamente alcuni testimoni dello strazio delle guerre balcaniche degli anni ’90 (don Zvonimir, fra’ Jozo e suor Ljubica), con una fede profonda che li ha portati a perdonare i loro aguzzini, Francesco ha detto: “non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace (…) Nel vostro sangue, nella vostra vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri. E c’è il sangue e c’è la vocazione di tante religiose, tanti preti, tanti seminaristi”.
Sono loro che – sull’esempio dell’apostolo Paolo – hanno trasmesso “come si vive la fede” e hanno dato testimonianza del perdono, perché “un uomo, una donna che si consacra al servizio del Signore e non sa perdonare non serve”. Infatti “perdonare chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto e loro predicano di farlo”.
Poi l’invito: “fate sempre il contrario della crudeltà: abbiate atteggiamenti di tenerezza, di fratellanza, di perdono. E portate la Croce di Gesù Cristo. La Chiesa, la santa Madre Chiesa, vi vuole così: piccoli, piccoli martiri, davanti a questi piccoli martiri, piccoli testimoni della Croce di Gesù”. E’ lo stile del dialogo, “una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto”. Lo ha affermato incontrando i rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Bosnia ed Erzegovina, nel segno della preghiera per la pace nel Paese e in tutto il mondo. E’ stato un incontro nel “segno di un comune desiderio di fraternità e di pace” e di “testimonianza di un’amicizia” costruita negli anni. Nel dialogo interreligioso “si condivide la quotidianità dell’esistenza”, si assumono “responsabilità comuni”, si progetta “un futuro migliore” imparando “a vivere insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità”. E’ per questo che “il dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile”. Incontrando poi i giovani  ha lasciato loro il compito “di fare la pace”, aggiungendo: “voi avete una singolarità: voi siete la prima – credo – generazione dopo la guerra. Voi siete fiori di una primavera (…): fiori di una primavera che vogliono andare avanti e non tornare alla distruzione, alle cose che ci fanno nemici gli uni gli altri. Io trovo in voi questa voglia e questo entusiasmo. E questo è nuovo per me”
Gian Paolo Cassano

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