La Parola di Papa Benedetto

LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano

“Dio non è un’ipotesi lontana sull’origine del mondo; non è un’intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è auto comunicato fino ad incarnarsi”. Lo ha affermato Benedetto XVI durante la catechesi dell’udienza generale di mercoledì 28 novembre.
Il Papa ha invitato poi a guardare “come Gesù si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo”. Il suo è uno stile che “diventa un’indicazione essenziale per noi cristiani: il nostro modo di vivere nella fede e nella carità diventa un parlare di Dio nell’oggi, perché mostra con un’esistenza vissuta in Cristo la credibilità, il realismo di quello che diciamo con le parole, che non sono solo parole, ma mostrano la realtà, la vera realtà”.
Così Paolo “non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive.”
Questi esempi indicano che “parlare di Dio vuol quindi dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo”: questo “richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape”.
Ora il “luogo” di applicazione “privilegiato” di questa testimonianza è la famiglia che è “la prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni”: qui diventa “importante anzitutto la vigilanza”, che è anche “sensibilità nel recepire le possibili domande religiose presenti nell’animo dei figli, a volte evidenti, a volte nascoste” insieme alla gioia, perché “la comunicazione della fede deve sempre avere una tonalità di gioia”.
Domenica 2 dicembre, all’Angelus, all’inizio dell’Avvento, il Pontefice ha chiesto “sobrietà e preghiera”, di attesa per la venuta di Gesù di “crescere e sovrabbondare nell’amore”, con “un diverso modo di vivere”: i cristiani “in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, ai deserti dell’indifferenza e del materialismo… accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte”.
Ha ricordato poi le responsabilità dei cristiani, parlando di amore e di giustizia: “la comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio”.
Un pensiero è andato alla beatificazione del martire indiano Devasahayam Pillai, “un fedele laico vissuto nel XVIII secolo.”
Gian Paolo Cassano

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