La Parola di Papa Benedetto

LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano

“Davanti alle situazioni più difficili e dolorose, quando sembra che Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il peso che portiamo nel nostro cuore”. Così dev’essere la preghiera del cristiano (sull’esempio di Cristo di fronte alla morte); c’è qui l’insegnamento forte del Papa nell’udienza di mercoledì 8 febbraio.
Benedetto XVI si è soffermato sulla preghiera di Gesù morente (nel Vangelo di Marco e Matteo), sul suo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”.
Cristo, di fronte agli insulti e “davanti al buio che cala su tutto”, con il grido della sua preghiera “mostra che, assieme al peso della sofferenza e della morte in cui sembra ci sia l’abbandono, l’assenza di Dio, Egli ha piena certezza della vicinanza del Padre, che approva questo atto supremo di amore, di dono totale di Sé, nonostante non si oda, come in altri momenti, la voce dall’alto”.
Gesù, nel momento “dell’ultimo rifiuto degli uomini, nel momento dell’abbandono”, prega “nella consapevolezza della presenza di Dio Padre anche in quest’ora in cui sente il dramma umano della morte”.
Di fronte a ciò il Papa si è chiesto perché non sia sottratta al Figlio Dio una prova così terribile. “E’ importante comprendere – ha spiegato Benedetto XVI – che la preghiera di Gesù non è il grido di chi va incontro con disperazione alla morte, e neppure è il grido di chi sa di essere abbandonato. Gesù in quel momento fa suo l’intero Salmo 22, il Salmo del popolo di Israele che soffre, e in questo modo prende su di Sé non solo la pena del suo popolo, ma anche quella di tutti gli uomini che soffrono per l’oppressione del male e, allo stesso tempo, porta tutto questo al cuore di Dio stesso nella certezza che il suo grido sarà esaudito nella risurrezione.”
Qui sono racchiusi “l’estrema fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, anche quando sembra assente, anche quando sembra rimanere in silenzio, seguendo un disegno a noi incomprensibile”; Gesù soffre “in comunione con noi e per noi”, lasciando “emergere, allo stesso tempo, il senso della presenza del Padre e il consenso al suo disegno di salvezza dell’umanità”.
Così per noi, quando “ci troviamo sempre e nuovamente di fronte all’«oggi» della sofferenza, del silenzio di Dio”, ci troviamo “anche di fronte all’«oggi» della Risurrezione, della risposta di Dio che ha preso su di Sé le nostre sofferenze, per portarle insieme con noi e darci la ferma speranza che saranno vinte”.
In questo modo “il grido di Gesù ci ricorda come nella preghiera dobbiamo superare le barriere del nostro ‘io’ e dei nostri problemi e aprirci alle necessità e alle sofferenze degli altri. La preghiera di Gesù morente sulla Croce ci insegni a pregare con amore per tanti fratelli e sorelle che sentono il peso della vita quotidiana, che vivono momenti difficili, che sono nel dolore, che non hanno una parola di conforto, preghiamo tutto questo al cuore di Dio perché anch’essi possano sentire l’amore di Dio che non ci abbandona mai”.
Domenica 12 febbraio, all’Angelus, il Papa ha lanciato un accorato appello per la fine delle violenze in Siria e “a privilegiare la via del dialogo, della riconciliazione e dell’impegno per la pace.”
Commentando poi il Vangelo domenicale ha colto nel gesto di Gesù che guarisce un lebbroso “la volontà di Dio di guarirci, di purificarci dal male che ci sfigura e che rovina le nostre relazioni”, abbattendo “ogni barriera tra Dio e l’impurità umana, tra il Sacro e il suo opposto, non certo per negare il male e la sua forza negativa, ma per dimostrare che l’amore di Dio è più forte di ogni male, anche di quello più contagioso e orribile. Gesù ha preso su di sé le nostre infermità, si è fatto ‘lebbroso’ perché noi fossimo purificati”.
Benedetto XVI ha infine ricordato l’esperienza di San Francesco nell’incontro con i lebbrosi: “quando Francesco si avvicinò a uno di loro e, vincendo il proprio ribrezzo, lo abbracciò, Gesù lo guarì dalla sua lebbra, cioè dal suo orgoglio, e lo convertì all’amore di Dio. Ecco la vittoria di Cristo, che è la nostra guarigione profonda e la nostra risurrezione a vita nuova!”.
Gian Paolo Cassano

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