a cura di Gian Paolo Cassano
Non si conosce Dio solo con la ragione ama con la forza dell’amore; lo ha ricordato il Papa, nell’udienza del 17 marzo, continuano ad analizzare la grande figura di San Bonaventura.
II filosofo di Bagnoregio parlava della vita cristiana come un scalata “verso le altezze di Dio”, compiuta in parte con la forza della ragione e poi possibile solo con la luce dell’amore. Benedetto XVI ha messo in rilievo le capacità ed i limiti della teologia nel confronto tra Bonaventura e Tommaso d’Aquino. “Per san Tommaso – ha riassunto il Papa – il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario. Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità”.
Il teologo francescano parla della sapienza che abbraccia la teoria e la pratica: “la vera teologia, il lavoro razionale della vera e della buona teologia ha un’altra origine (…) Chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato (…) Per san Bonaventura è quindi determinante alla fine il primato dell’amore”, proprio del carisma francescano.
Benedetto XVI poi ha parlato degli abusi sui minori che hanno scosso la Chiesa irlandese, tema oggetto di una sua Lettera pastorale per affrontare questa situazione dolorosa, perché “possa aiutare nel processo di pentimento, di guarigione e rinnovamento”.
Domenica 21 marzo, all’Angelus, commentando il testo evangelico domenicale, ha parlato delle parole di Gesù (nell’episodio giovanneo dell’adultera) “piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto”.
“Gesù, – ha osservato il S. Padre – assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene. ‘Neanch’io ti condanno; – le dice – va e d’ora in poi non peccare più”.
Egli infatti “desidera per noi soltanto il bene e la vita; Egli provvede alla salute della nostra anima per mezzo dei suoi ministri, liberandoci dal male col Sacramento della Riconciliazione, affinché nessuno vada perduto, ma tutti abbiano modo di convertirsi”.
Un’esortazione particolare ha rivolto a tutti i pastori, perché in questo Anno sacerdotale, sappiano imitare il santo Curato d’Ars nel ministero del Perdono sacramentale, imparando “ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone.”
Gian Paolo Cassano
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