La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

“Essere santi si può perché ci aiuta il Signore”. E’ l’incoraggiamento del Papa all’Udienza generale di mercoledì 21 giugno, mettendo in evidenza la santità come testimonianza e compagnia di speranza. La santità passa nella quotidianità, perché essere santi significa fare il proprio dovere sempre e dovunque, con il cuore aperto a Dio. I santi testimoniano che “la vita cristiana non è un ideale irraggiungibile”. Essi hanno conosciuto le “nostre stesse fatiche”, perché non hanno creduto “che le forze negative e disgreganti possano prevalere. L’ultima parola sulla storia dell’uomo non è l’odio, non è la morte, non è la guerra”. La nostra vita è nelle mani di Dio e “la Chiesa è fatta di innumerevoli fratelli, spesso anonimi, che ci hanno preceduto e che per l’azione dello Spirito Santo sono coinvolti nelle vicende di chi ancora vive quaggiù”.  Ecco l’intercessione dei santi, “la moltitudine di testimoni” di cui parla la Lettera agli Ebrei che è stata proclamata in questa occasione. “Dio non ci abbandona mai”; è vero che siamo “polvere che aspira al cielo”, che siamo “deboli” , ma potente è il mistero della grazia. Di qui l’auspicio che il Signore “doni a tutti noi la speranza di essere santi”, nella vita di tuti i giorni: “occorre fare tutto con il cuore aperto verso Dio, in modo che il lavoro, anche nella malattia e nella sofferenza, anche nelle difficoltà, sia aperto a Dio. E così si può diventare santi. Che il Signore ci dia la speranza di essere santi. Non pensiamo che è una cosa difficile, che è più facile essere delinquenti che santi! No. Si può essere santi perché ci aiuta il Signore; è Lui che ci aiuta”. Che i cristiani possano “diventare immagine di Cristo per questo mondo”, persone “che vivono accettando anche una porzione di sofferenza, perché si fanno carico della fatica degli altri”. C’è bisogno di ‘mistici’, persone che rifiutano il dominio e aspirano, invece, alla carità: “senza questi uomini e donne il mondo non avrebbe speranza”.
Domenica 25 giugno, all’Angelus, ha lasciato risuonare l’invito di Gesù a non avere paura, quando istruisce e prepara i suoi discepoli “ad affrontare le prove e le persecuzioni che dovranno incontrare.” Infatti “l’invio in missione da parte di Gesù non garantisce ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo da fallimenti e sofferenze. Essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, sia quella della persecuzione. Questo spaventa un po’, ma è la verità”.
Il cristiano è “chiamato a conformare la propria vita a Cristo, che è stato perseguitato dagli uomini, ha conosciuto il rifiuto, l’abbandono e la morte in croce”, perché “non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità; le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione,…” Tutto questo diventa occasione “per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù”, certi che Dio “non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta”, ma sono “sempre assistiti dalla sollecitudine premurosa del Padre.” Il pensiero è andato quindi all’odierna “persecuzione contro i cristiani”, invitando a pregare per loro perché continuino “a testimoniare con coraggio e fedeltà la loro fede”. C’è però un’altra “forma di prova che può essere anche l’assenza di ostilità e di tribolazioni”, di chi “non vuole essere svegliata dal torpore mondano, che ignora le parole di Verità del Vangelo, costruendosi delle proprie effimere verità”. Bisogna non aver paura di chi  deride e maltratta, di chi ignora o davanti onora ma dietro combatte il Vangelo.  “Gesù non ci lascia soli perché siamo preziosi per Lui”.
Gian Paolo Cassano

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