La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Nipote della terra piemontese; così ha amato definirsi il Papa nel suo viaggio di due giorni a Torino, lo scorso 21 e 22 giugno. Un viaggio nella proprie radici, in occasione della Sindone e del bicentenario della nascita di don Bosco. Nell mattinata di domenica 21 giugno Francesco, accolto dall’arcivescovo mons. Cesarea Nosiglia, dal sindaco Piero Fassino e delle altre autorità locali si è recato a venerare il sacro Lenzuolo in Cattedrale, come ha ricordato all’Angelus, parlando della Sindone come dell’icona dell’amore di Dio per gli uomini: “la Sindone attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù e, nello stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata. Ci spinge nella stessa direzione del dono di amore di Gesù”.
A ciò ha fatto riferimento celebrando la S. Messa in piazza Vittorio, contemplando l’amore di Dio verso di noi che è fedele, ricrea tutto; è un “amore stabile e sicuro”, perché “Gesù ci ama sempre, sino alla fine, senza limiti e senza misura”. Il suo amore è fedele, “non delude, non viene mai meno. Gesù incarna questo amore, ne è il Testimone. Lui non si stanca mai di volerci bene, di sopportarci, di perdonarci, e così ci accompagna nel cammino della vita”, perché Gesù “ci ama tutti”, non si arrende nemmeno davanti alla nostra infedeltà. “Gesù rimane fedele, anche quando abbiamo sbagliato, e ci aspetta per perdonarci: Lui è il volto del Padre misericordioso. Ecco l’amore fedele”. Ma per aprirsi al suo amore rigenerante, l’uomo deve riconoscere i propri limiti: “riconoscere i propri limiti, le proprie debolezze, è la porta che apre al perdono di Gesù, al suo amore che può rinnovarci nel profondo, che può ricrearci. La salvezza può entrare nel cuore quando noi ci apriamo alla verità e riconosciamo i nostri sbagli, i nostri peccati; allora facciamo esperienza, quella bella esperienza di Colui che è venuto non per i sani, ma per i malati, non per i giusti, ma per peccatori”. Se ci sappiamo “spogliare delle vesti logore e vecchie dei rancori e delle inimicizie per indossare la tunica pulita della mansuetudine, della benevolenza, del servizio agli altri, della pace del cuore, propria dei figli di Dio” sarà segno che siamo diventati nuovi. “Lo spirito del mondo è sempre alla ricerca di novità, ma soltanto la fedeltà di Gesù è capace della vera novità, di farci uomini nuovi”.Citando poi il poeta Nino Costa, il Papa  ha ricordato come il popolo piemontese abbia radici solide: “gente che non risparmia tempo e sudore – razza nostrana libera e testarda. – Tutto il mondo conosce chi sono e, quando passano… tutto il mondo li guarda”. Ha invitato poi a restare saldi su questa roccia, che è l’amore di Dio, a non “lasciarci paralizzare dalle paure del futuro”, ma a guardare ai quei Santi e Beati piemontesi “che hanno accolto l’amore di Dio e lo hanno diffuso nel mondo, santi liberi e testardi. Sulle orme di questi testimoni, anche noi possiamo vivere la gioia del Vangelo praticando la misericordia; possiamo condividere le difficoltà di tanta gente, delle famiglie, specialmente quelle più fragili e segnate dalla crisi economica”.
La visita del Pontefice era iniziata con un incontro con il mondo del lavoro in piazzetta reale. Dopo i saluti di un’operaia, di un agricoltore e di un imprenditore, il Pontefice ha detto con forza: “No a un’economia dello scarto, no all’idolatria del denaro, alla corruzione, all’iniquità che genera violenza”, si ad un patto  sociale e generazionale per un lavoro a misura dell’uomo. “Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e anche per l’inclusione sociale”; pensando alle diseguaglianze sociali, ha aggiunto: “l’immigrazione aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre. Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce”. Citando la Costituzione italiana, ha ricordato come il lavoro sia fondamentale e, parlando delle donne ha affermato: “i loro diritti vanno tutelati con forza, perché le donne, che pure portano il maggior peso nella cura della casa, dei figli e degli anziani, sono ancora discriminate, anche nel lavoro”. Per questo occorre un “patto sociale e generazionale”, tra lavoratori e imprenditori, ma anche tra giovani e anziani.
Per il momento del pranzo Papa Francesco ha scelto l’incontro con alcune persone senza fissa dimora. Nel pomeriggio di domenica Francesco nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, conosciuta come “Cottolengo”, ha incontrato gli anziani, i malati e i disabili. Da lui parole di compassione per quelli che ha definito “membra preziose della Chiesa” e di denuncia contro la cultura dello scarto e quel sistema sbagliato che non pone più l’uomo al centro ma il consumo e gli interessi economici. “L’esclusione dei poveri e la difficoltà per gli indigenti a ricevere l’assistenza e le cure necessarie, è una situazione che purtroppo è presente ancora oggi. Sono stati fatti grandi progressi nella medicina e nell’assistenza sociale, ma si è diffusa anche una cultura dello scarto, come conseguenza di una crisi antropologica che non pone più l’uomo al centro, ma il consumo e gli interessi economici”.
Ma il Papa è giunto a Torino anche per celebrare il bicentenario delle nascita di don Bosco; così nell’incontro con la famiglia Salesiana nella Basilica di Maria Ausiliatrice, ha posto in rilievo la necessità di una “educazione a misura della crisi”. In un mondo segnato dalla piaga della disoccupazione è particolarmente prezioso per i giovani il modello di formazione proposto dai Salesiani: “la creatività salesiana deve fare, prendere nelle mani queste sfide, queste sfide di oggi: educare. Ma anche portarli alla gioia, con la gioia salesiana, che è un’altra cosa che io ho imparato: quello della gioia salesiana non lo dimentico mai”.
Nel pomeriggio il Papa si è fermato nella Chiesa di Santa Teresa  dove si sono sposati i suoi nonni. Poi la grande festa coi i giovani in piazza Vittorio invitandoli a vivere in pieno la loro vita, con amore, andando “controcorrente”, seguendo le parole del beato Pier Giorgio Frassati: “vivere, non vivacchiare”. Questo perché per l’amore si “fa nel dialogo”, non è un sentimento romantico del momento, “è concreto… si sacrifica per gli altri”. E allora bisogna fare scelte radicali, perché “l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone, e cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarla bene, fare bene la vita, io vi dico: siate casti, siate casti”.
Lunedì 22 c’è stato lo storico incontro, con la visita al Tempio valdese, la prima di un Papa, dove ha chiesto perdono per i comportamenti non cristiani assunti nella storia dalla Chiesa contro la comunità valdese: “da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci”. Egli ha ricordato il profondo legame che unisce cattolici e valdesi nonostante le differenze: “uno dei principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo”. E’ vero che è “una comunione ancora in cammino”, ma “che, con la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena e visibile comunione nella verità e nella carità”. Ora l’unità, frutto dello Spirito Santo, non significa uniformità, perché non succeda “che i fratelli non accettino la loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro”. Il Papa ha poi affermato che cattolici e valdesi sono chiamati a “continuare a camminare insieme”, ad “andare insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi”, dall’evangelizzazione al “servizio all’umanità che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti”.
La visita poi si è conclusa con momenti più privati, con l’incontro ed il pranzo con i suoi parenti piemontesi, perché Francesco non ha mai dimenticato che qui sono le sue radici di famiglia.
Gian Paolo Cassano

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