LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

Riflettendo sull’episodio di san Paolo portato davanti al re Agrippa (negli Atti degli Apostoli) mercoledì 11 dicembre, all’Angelus, il Papa ha parlato del martirio come di un segnale che andiamo sulla strada di Gesù. Infatti l’arrivo a Gerusalemme di Paolo aveva scatenato un odio feroce nei suoi confronti, con una sommossa ed il successivo arresto, con una peregrinazione di carcerato fino ad arrivare davanti al re Agrippa. Luca al riguardo sottolinea la somiglianza fra Paolo e Gesù, entrambi odiati e accusati pubblicamente e riconosciuti poi innocenti dalle autorità imperiali: “così Paolo è associato alla passione del suo Maestro” e la sua passione diventa vangelo vivo. Già prima dell’udienza generale, ricevendo alcuni pellegrini ucraini, aveva rilevato la sofferenza che hanno patito per il Vangelo. “Oggi nel mondo, in Europa, tanti cristiani sono perseguitati e danno la vita per la propria fede, o sono perseguitati con i guanti bianchi, cioè lasciati da parte, emarginati … Il martirio è l’aria della vita di un cristiano, di una comunità cristiana. Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù. E’ una benedizione del Signore, che ci sia nel popolo di Dio, qualcuno o qualcuna che dia questa testimonianza del martirio.” Proprio davanti al re Agrippa II Paolo è chiamato a difendersi dalle accuse e la sua apologia si muta in “efficace testimonianza di fede”, raccontando la propria conversione e la missione che Cristo gli ha affidato, toccando il cuore del re che quasi convince a farsi cristiano. Seppure dichiarato innocente, non può essere rilasciato perché si è appellato a Cesare e finirà incatenato a Roma. Così “il ritratto di Paolo è quello del prigioniero le cui catene sono il segno della sua fedeltà al Vangelo e della testimonianza resa al Risorto. Le catene sono certo una prova umiliante per l’Apostolo, che appare agli occhi del mondo come un «malfattore» (2Tm 2,9). Ma il suo amore per Cristo è così forte che anche queste catene sono lette con gli occhi della fede”, che non è “una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo”, ma è “l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore, […] è amore per Gesù Cristo”. Così l’esperienza di fede di Paolo diventa un richiamo per tutti i cristiani nella “perseveranza nella prova” e nella “capacità di leggere tutto con gli occhi della fede” perché anche noi, per suo intercessione posiamo “essere fedeli fino in fondo alla nostra vocazione di cristiani, di discepoli del Signore, di missionari.”
Domenica 15 dicembre, all’Angelus, Francesco ha esortato a non lasciarsi distrarre dalle cose esteriori ma ad accogliere Dio che vuole darci “la sua gioia”. Egli ha colto nella gioia e nel dubbio (attraverso al testo evangelico che ci presenta la domanda del Battista) due “esperienze che fanno parte della nostra vita”. Infatti “è la stessa realtà che in ogni tempo mette alla prova la fede. Ma l’uomo di Dio guarda oltre, perché lo Spirito Santo fa sentire al suo cuore la potenza della sua promessa, ed egli annuncia la salvezza: ‘Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, […] Egli viene a salvarvi’. E allora tutto si trasforma: il deserto fiorisce, la consolazione e la gioia si impadroniscono degli smarriti di cuore, lo zoppo, il cieco, il muto sono risanati (cfr vv. 5-6). È ciò che si realizza con Gesù: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”. E’ l’invito alla conversione e ad accoglier la salvezza che “avvolge tutto l’uomo e lo rigenera” e che “sempre presuppone un morire a noi stessi e al peccato che c’è in noi”. Qui nasce “il richiamo alla conversione, che è alla base della predicazione sia del Battista sia di Gesù; in particolare, si tratta di convertire l’idea che abbiamo di Dio.” Anche noi, come il Battista “siamo chiamati a riconoscere il volto che Dio ha scelto di assumere in Gesù Cristo, umile e misericordioso”. E’ il richiamo dell’Avvento, tempo di grazia, che “ci dice che non basta credere Dio: è necessario ogni giorno purificare la nostra fede. Si tratta di prepararsi ad accogliere non un personaggio da fiaba, ma il Dio che ci interpella, ci coinvolge e davanti al quale si impone una scelta. Il Bambino che giace nel presepe ha il volto dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi, dei poveri che sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi”.
Gian Paolo Cassano

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