LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

All’udienza generale, mercoledì 25 agosto, Francesco, continuando la catechesi sulla lettera ai Galati, ha riflettuto sul “virus dell’ipocrisia” che porta a fingere piuttosto che ad “essere sé stessi”. Ha ripreso per questo l’episodio della Lettera ai Galati in cui “Paolo dice di avere rimproverato Cefa, cioè Pietro”, per “il suo comportamento nella partecipazione alla mensa”. Ad Antiochia “prima Pietro stava a mensa senza alcuna difficoltà con i cristiani venuti dal paganesimo; quando però giunsero in città alcuni cristiani circoncisi da Gerusalemme, allora non lo fece più, per non incorrere nelle loro critiche”; così, “senza volerlo, Pietro, con quel modo di fare creava di fatto un’ingiusta divisione nella comunità”.
In questo caso Paolo “utilizza un termine che permette di entrare nel merito della sua reazione, ipocrisia (cfr Gal 2,13)”, parola che tornerà altre volte. Ora cos’è l’ipocrisia ? E’ la “paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi. È come truccarsi l’anima, come truccarsi negli atteggiamenti, come truccarsi nel modo di procedere: non è la verità. (…) E la finzione impedisce il coraggio di dire apertamente la verità e così ci si sottrae facilmente all’obbligo di dirla sempre, dovunque e nonostante tutto.” La finzione porta alle mezze verità. “E le mezze verità sono una finzione: perché la verità è verità o non è verità”, per cui si preferisce “fingere piuttosto che essere sé stesso, e la finzione impedisce quel coraggio, di dire apertamente la verità. E così ci si sottrae all’obbligo – e questo è un comandamento – di dire sempre la verità, dirla dovunque e dirla nonostante tutto. E in un ambiente dove le relazioni interpersonali sono vissute all’insegna del formalismo, si diffonde facilmente il virus dell’ipocrisia. Quel sorriso che non viene dal cuore, quel cercare di stare bene con tutti, ma con nessuno…” Nella Bibbia si trovano “diversi esempi in cui si combatte l’ipocrisia”, come quella del vecchio Eleazaro, “al quale veniva chiesto di fingere di mangiare la carne sacrificata alle divinità pagane pur di salvare la sua vita”. Ma quell’uomo timorato di Dio rispose: “Non è affatto degno della nostra età fingere”. Anche il Vangelo riporta “diverse situazioni in cui Gesù rimprovera fortemente coloro che appaiono giusti all’esterno, ma dentro sono pieni di falsità e d’iniquità”. Il Papa per questo ha suggerito di prendete il capitolo 23 del Vangelo di San Matteo per vedere quante volte Gesù dice: “ipocriti, ipocriti, ipocriti”, svelando cosa sia l’ipocrisia.
“L’ipocrita è una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità. Per questo, non è capace di amare veramente – un ipocrita non sa amare – si limita a vivere di egoismo e non ha la forza di mostrare con trasparenza il suo cuore.” Sono diverse le situazioni in cui “si può verificare l’ipocrisia”: nel lavoro, “dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle. Nella politica non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato. È particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa, e purtroppo esiste l’ipocrisia nella Chiesa, e ci sono tanti cristiani e tanti ministri ipocriti.” Di qui l’incoraggiamento a “non abbiamo paura di essere veritieri, di dire la verità, di sentire la verità, di conformarci alla verità. Così potremo amare”, sapendo che “agire altrimenti dalla verità significa mettere a repentaglio l’unità nella Chiesa, quella per la quale il Signore stesso ha pregato.”
Domenica 29 agosto, all’Angelus ha ricordato che “passare il tempo a incolpare gli altri è perdere tempo. Si diventa arrabbiati, acidi e si tiene Dio lontano dal cuore.” Nel Vangelo domenicale di Marco si parla dei farisei scandalizzati per il fatto che i discepoli non eseguono le tradizionali abluzioni rituali. “Anche noi potremmo chiederci: ma perché Gesù e i suoi discepoli trascurano queste tradizioni? In fondo non sono cose cattive, ma sono buone abitudini rituali, semplici lavaggi prima di prendere cibo. Ma perché Gesù non ci bada? Perché per Lui è importante riportare la fede al suo centro (…) Ed evitare un rischio, che vale per quegli scribi come per noi: osservare formalità esterne mettendo in secondo piano il cuore della fede. Anche noi tante volte ci trucchiamo l’anima. È il rischio di una religiosità dell’apparenza: apparire per bene fuori, trascurando di purificare il cuore. C’è sempre la tentazione di ‘sistemare Dio’ con qualche devozione esteriore, ma Gesù non si accontenta di questo culto. Gesù non vuole esteriorità, vuole una fede che arrivi al cuore.”
Egli insegna, in modo rivoluzionario rispetto alla mentalità corrente, che “non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro”. Invece, è “dal di dentro, dal cuore” che nascono le cose cattive. Ora la vita e il parlare quotidiano sono il banco di prova della concretezza dell’insegnamento evangelico. “Quante volte incolpiamo gli altri, la società, il mondo, per tutto quello che ci accade! È sempre colpa degli altri della gente, di chi governa, della sfortuna. Sembra che i problemi arrivino sempre da fuori. E passiamo il tempo a distribuire colpe; ma passare il tempo a incolpare gli altri è perdere tempo. Si diventa arrabbiati, acidi e si tiene Dio lontano dal cuore. (…) Non si può essere veramente religiosi nella lamentela. La lamentela avvelena, ti porta alla: rabbia, al risentimento e alla tristezza, quella del cuore che chiude le porte a Dio.” L’invito è quello di domandare la grazia di non inquinare il mondo con le lamentele “perché non è cristiano”, ma ad imparare dai Padri della Chiesa ad accusare sé stessi piuttosto che gli altri come via da percorrere per il bene nostro e dei nostri fratelli.
Al termine ha rivolto il suo pensiero alla situazione in Afghanistan, a non rimanere indifferenti, con un forte appello alla preghiera e al digiuno, ricordando le inondazioni in Venezuela e l’impegno del Movimento Laudato per la giornata di preghiera per la cura del creato.

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