La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
E’ nata “in uscita”, cioè missionaria, sempre “ancorata” alla “lunga catena” originata dal primo annuncio dei discepoli: per questo la Chiesa è universale. Lo ha ricordato Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì 16 settembre, evidenziando due caratteristiche peculiari: l’essere “cattolica” e “apostolica”. “La Parola di Dio oggi si legge in tutte le lingue, tutti hanno il Vangelo nella propria lingua, per leggerlo. E torno sullo stesso concetto: è sempre buono prendere con noi un Vangelo piccolo, per portarlo in tasca, nella borsa e durante la giornata leggerne un passo. Questo ci fa bene. Il Vangelo è diffuso in tutte le lingue perché la Chiesa, l’annuncio di Gesù Cristo Redentore, è in tutto il mondo”. La cattolicità è quella porta che un giorno girò sui cardini del Cenacolo proiettando i discepoli verso il mondo: “se gli Apostoli fossero rimasti lì nel cenacolo, senza uscire a portare il Vangelo, la Chiesa sarebbe soltanto la Chiesa di quel popolo, di quella città, di quel cenacolo. Ma tutti sono usciti per il mondo, dal momento della nascita della Chiesa, dal momento che è disceso su di loro lo Spirito Santo. E per questo la Chiesa è nata ‘in uscita’, cioè missionaria”.
La staticità non appartiene al DNA della Chiesa e noi, oggi, “siamo in continuità con quel gruppo di Apostoli che ha ricevuto lo Spirito Santo e poi è andato in ‘uscita’, a predicare”: grazie allo Spirito Santo può “superare ogni resistenza”, vincendo “la tentazione di chiudersi in sé stessi, tra pochi eletti, e di considerarsi gli unici destinatari della benedizione di Dio”. Far parte di una Chiesa cattolica e apostolica significa “prendersi a cuore la salvezza di tutta l’umanità, non sentirsi indifferenti o estranei di fronte alla sorte di tanti nostri fratelli, ma aperti e solidali verso di loro”, significa “essere consapevoli che la nostra fede è ancorata alla ‘lunga catena’ che viene dagli Apostoli e dai loro successori, annunciatori senza confini del Vangelo”. Come non pensare alla “vita eroica” di “tanti, tanti missionari e missionarie che hanno lasciato la loro patria per andare ad annunciare il Vangelo in altri Paesi, in altri continenti” ?
Domenica 21 settembre il Pontefice si è recato (è il suo 4° viaggio internazionale) in Albania. A Tirana, dove giganteggiano i volti che celebrano la forza del coraggio cristiano come angeli protettori di una terra che un tempo aveva pensato di mettere Dio fuori legge.
“In un recente passato – ha detto celebrando l’Eucaristia nella capitale – anche la porta del vostro Paese è stata chiusa, serrata con il catenaccio delle proibizioni e prescrizioni di un sistema che negava Dio e impediva la libertà religiosa. Coloro che avevano paura della verità e della libertà facevano di tutto per bandire Dio dal cuore dell’uomo ed escludere Cristo e la Chiesa dalla storia del vostro Paese, anche se esso era stato tra i primi a ricevere la luce del Vangelo”. Così si sono susseguiti “decenni di atroci sofferenze e di durissime persecuzioni contro cattolici, ortodossi e musulmani” e “quanti cristiani non si sono piegati davanti alle minacce, ma hanno proseguito senza tentennamenti sulla strada intrapresa! Mi reco spiritualmente a quel muro del cimitero di Scutari, luogo-simbolo del martirio dei cattolici dove si eseguivano le fucilazioni, e con commozione depongo il fiore della preghiera e del ricordo grato e imperituro”. Ma “oggi le porte dell’Albania si sono riaperte e sta maturando una stagione di nuovo protagonismo missionario per tutti i membri del popolo di Dio”. All’Angelus, poi, ha rammentato come l’Albania sia riconosciuta come “il popolo più giovane dell’Europa”, invitando i giovani a “dire no all’idolatria del denaro – no  all’idolatria del denaro! – no alla falsa libertà individualista, no alle dipendenze e alla violenza; e dire invece sì alla cultura dell’incontro e della solidarietà, sì alla bellezza inseparabile dal bene e dal vero; sì alla vita spesa con animo grande ma fedele nelle piccole cose. Così costruirete un’Albania migliore e un mondo migliore”.
Incontrando le autorità ha condannato gli estremisti che travisano il senso religioso: “nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita ed alla libertà religiosa di tutti!” Felicemente l’Albania è una terra di “rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani” e questo è “un valore che va custodito e incrementato ogni giorno”; quando però, “viene travisato l’autentico senso religioso e vengono distorte e strumentalizzate le differenze tra le diverse confessioni, facendone un pericoloso fattore di scontro e di violenza, anziché occasione di dialogo aperto e rispettoso e di riflessione comune su ciò che significa credere in Dio e seguire la sua legge”. Allora “quando la dignità dell’uomo viene rispettata e i suoi diritti vengono riconosciuti e garantiti, fioriscono anche la creatività e l’intraprendenza e la personalità umana può dispiegare le sue molteplici iniziative a favore del bene comune”.
Nella Cattedrale ha celebrato i Vespri con i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i movimenti laicali, visibilmente commosso per le toccanti testimonianze di un sacerdote e di una religiosa che hanno vissuto la persecuzione comunista. Parlando a braccio, ha ricordato che “l’unica consolazione viene da Lui” che è garanzia di felicità.
Incontrando poi i leader di altre religioni e denominazioni cristiane ha spiegato come il fondamento di ogni dialogo autentico sia la “propria identità”, senza la quale non può esistere il dialogo. Facendo memoria delle sofferenze della persecuzione anti religiosa del regime comunista, ha riaffermato come la religione autentica sia “fonte di pace e non di violenza”. Infatti “nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano”. Poi ha indicato due atteggiamenti per promuovere la libertà religiosa: “il primo è quello di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle. Ogni tradizione religiosa, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell’esistenza dell’altro”. Un secondo atteggiamento è “l’impegno in favore del bene comune”, perché “ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa. …Più si è a servizio degli altri e più si è liberi!”.
Il viaggio si è concluso con la visita ai piccoli bisognosi del Centro di assistenza “Betania”; qui ha parlato della “fede che opera nella carità” che “smuove le montagne dell’indifferenza, dell’incredulità e dell’apatia e apre i cuori e le mani a compiere il bene e a diffonderlo. Attraverso gesti umili e semplici di servizio ai piccoli, passa la Buona Notizia che Gesù è risorto e vive in mezzo a noi”. A tutti ha ricordato che “amare e donarsi per amore” è il “segreto di un’esistenza riuscita”; così “si trova la forza di ‘sacrificarsi con gioia’ e l’impegno più coinvolgente diventa fonte di una gioia più grande. Allora non fanno più paura scelte definitive di vita, ma appaiono nella loro vera luce, come un modo per realizzare pienamente la propria libertà”.
Gian Paolo Cassano

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