LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

All’Udienza generale di mercoledì 24 giugno, continuando la catechesi sulla preghiera, il Papa si è fermato sulla figura di Davide che, santo e peccatore, prega: una voce che non si spegne mai e che è il filo rosso della sua esistenza. Davide è stato “santo e peccatore”, nonché “perseguitato e persecutore” e pure “vittima e carnefice”: Davide è stato “tutto questo, insieme”. Così “anche noi”, nella trama del vivere, registriamo tratti spesso opposti, perché “tutti gli uomini peccano spesso di incoerenza”. Ora, in Davide “c’è un solo filo rosso (…) che dà unità a tutto ciò che accade: la sua preghiera”. E’ “un uomo di preghiera. Quella è la voce che non si spegne mai: che assuma i toni del giubilo, o quelli del lamento, è sempre la stessa preghiera, solo la melodia cambia. E così facendo Davide ci insegna a far entrare tutto nel dialogo con Dio: la gioia come la colpa, l’amore come la sofferenza, l’amicizia quanto una malattia. Tutto può diventare parola rivolta al ‘Tu’ che sempre ci ascolta.” Davide “è nobile perché prega, è un carnefice che prega, si pente e la nobiltà torna dalla preghiera”. E’ questa che “ci dà nobiltà: essa è in grado di assicurare la relazione con Dio, che è il vero Compagno di cammino dell’uomo, in mezzo alle mille traversie della vita, buone o cattive: ma sempre la preghiera. Grazie, Signore. Ho paura, Signore. Aiutami, Signore. Perdonami, Signore. E’ tanta la fiducia di Davide che quando era perseguitato ed è dovuto fuggire, non lasciò che alcuno lo difendesse: “Se il mio Dio mi umilia così, Lui sa”, perché la nobiltà della preghiera ci lascia nelle mani di Dio. Quelle mani piagate di amore, e le uniche mani sicure che noi abbiamo.”
Egli viene scelto da Dio per essere Re di Israele, e dalla sua discendenza viene il Messia. Ultimo di molti fratelli, pascolava il gregge sulle colline intorno a Betlemme. Con la sola compagnia della cetra, passa le lunghe giornate in solitudine cantando a Dio. E’ un pastore che dovrà poi prendersi cura del popolo. Un mestiere da cui ha imparato molto, tanto che quando Natan gli rinfaccerà il suo peccato “capirà subito di essere stato un cattivo pastore, di aver depredato un altro uomo dell’unica pecora che lui amava, di non essere più un umile servitore, ma un ammalato di potere, un bracconiere che uccide e depreda”. Davide ha l’animo di poeta, amante della musica e del canto: a volte innalzerà a Dio un inno di gioia, a volte di lamento, altre volte lo farà per confessarsi del proprio peccato. Tanto che la tradizione vuole che “sia il grande artefice della composizione dei salmi”, cosicché “il suo sguardo coglie, dietro il dipanarsi delle cose, un mistero più grande. La preghiera nasce proprio da lì: dalla convinzione che la vita non è qualcosa che ci scivola addosso, ma un mistero stupefacente, che in noi provoca la poesia, la musica, la gratitudine, la lode, oppure il lamento, la supplica. Quando a una persona manca quella dimensione poetica, diciamo, quando manca la poesia, la sua anima zoppica.”
Domenica 28 giugno, all’Angelus, ha ricordato che servizio e gratitudine, non interessi personali, attaccamenti familiari o alla carriera, sono i tratti distintivi della vita cristiana. E’ il Vangelo domenicale che ci ricorda che il dono di sé (con apertura, accoglienza e gratitudine) è un tratto distintivo della vita cristiana. E’ l’invito forte ad aderire “in pienezza e senza tentennamenti” al Signore, ad accogliere radicalmente il Suo progetto su di noi e la Sua parola, a “prendere sul serio” le “esigenze evangeliche anche quando ciò richiede sacrificio e fatica”. La prima richiesta esigente è “di porre l’amore verso di Lui al di sopra degli affetti familiari”. Ciò non significa “sottovalutare” i legami familiari, ma viverli in modo “purificato”, evitando che, messi al primo posto, possano “deviare dal vero bene”. Anche la corruzione nei diversi governi viene “perché l’amore alla parentela è più grande dell’amore alla patria e mettono in carica i parenti. Lo stesso, con Gesù: quando l’amore è più grande di Lui non va bene. Tutti potremmo portare tanti esempi al riguardo. Senza parlare di quelle situazioni in cui gli affetti familiari si mischiano con scelte contrapposte al Vangelo. Quando invece l’amore verso i genitori e i figli è animato e purificato dall’amore del Signore, allora diventa pienamente fecondo e produce frutti di bene nella famiglia stessa e molto al di là di essa.” La seconda esigenza è riassunta nella Croce, nell’invito di Gesù a seguirlo sulla via che Egli stesso ha percorso “senza cercare scorciatoie”, perché “non c’è vero amore senza croce, cioè senza un prezzo da pagare di persona”. Lo confermano tante mamme e papà che per i figli si sacrificano tanto proprio per amore: così ”la croce non fa paura, perché Lui è sempre al nostro fianco per sorreggerci nell’ora della prova più dura, per darci forza e coraggio. Neanche serve agitarsi per preservare la propria vita, con un atteggiamento timoroso ed egoistico.” Il “paradosso del Vangelo” sta nel perdere la propria vita per ritrovarla in pienezza; lo testimoniano coloro che in questi giorni si stanno sacrificando per soccorrere quanti sono coinvolti nella pandemia: “quanta gente, sta portando croci per aiutare gli altri, si sacrifica per aiutare gli altri che hanno bisogno in questa pandemia … Ma, sempre con Gesù, si può fare. La pienezza della vita e della gioia si trova donando sé stessi per il Vangelo e per i fratelli, con apertura, accoglienza e benevolenza.” La “gratitudine generosa di Dio tiene conto anche del più piccolo gesto di amore e di servizio reso ai fratelli” e ci insegna a fare altrettanto, per educazione, ma soprattutto perché siamo cristiani. “È una riconoscenza contagiosa, che aiuta ciascuno di noi ad avere gratitudine verso quanti si prendono cura delle nostre necessità. (…). La gratitudine, la riconoscenza, è prima di tutto segno di buona educazione, ma è anche un distintivo del cristiano. È un segno semplice ma genuino del regno di Dio, che è regno di amore gratuito e riconoscente.”

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