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NESSUNO NE PARLA (O QUASI)
news quasi sconosciute
a cura di Gian Paolo Cassano

Il dramma dei profughi, in massima parte di etnia Rohingya, in fuga dal Myanmar, bloccati in mare da settimane, attende ancora una risposta risolutiva. Indonesia e Malaysia si sono dette disposte ad accoglierli, mentre la Thailandia ha preso tempo, in attesa della Conferenza dell’Asean, l’Associazione dei Paesi del Sudest asiatico, che si terrà il 29 maggio a Bangkok sulle  “Migrazioni irregolari nell’Oceano Indiano”.  Dopo l’allarme umanitario lanciato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è levata (domenica 24 maggio all’Angelus) anche la voce del Papa per richiamare la comunità internazionale a fornire aiuto a queste persone perseguitate e abbandonate a loro stesse.
Sono passati 40 anni dall’ondata dei boat-people vietnamiti Purtroppo la storia sembra ripetersi “perché – ha detto alla Radio Vaticana Massimo Pallottino della Caritas Italiana – Paesi e i popoli non si prendono le loro responsabilità. E’ in forma asiatica quello che vediamo, purtroppo, tutti i giorni ancora nel Mediterraneo. Almeno in Europa l’approdo lo trovano, mentre invece in Asia alcuni Paesi hanno chiuso le loro coste, hanno ributtato a mare i barconi. In più è stata – paradossalmente – proprio l’iniziativa di alcuni di questi Paesi, in particolare la Thailandia, nel dare una stretta nella lotta contro i trafficanti, che ha messo ulteriormente in pericolo le vite dei profughi, perché i trafficanti li hanno abbandonati in mare e sono scappati per paura delle possibili ripercussioni. Il problema vero, però, è in Myanmar: questi profughi sono di un popolo – il popolo Rohingya – che non ha nessun riconoscimento nella Costituzione e neanche nella legislazione del Myanmar e quindi non possono essere cittadini, anche se vivono da molte generazioni nel territorio del Myanmar, nel Rakhine State, verso il confine con il Bangladesh, e non si sa bene cosa sarà di loro.”
Gian Paolo Cassano

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