La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
Riprendendo la catechesi sui doni dello Spirito Santo, nell’udienza generale di mercoledì 4 giugno, ecco il quinto, la pietà, un dono “tante volte frainteso o considerato in modo superficiale” che “non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, avere pietà del prossimo, ma indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati”.
Non è “un dovere o un’imposizione”, ma “una relazione vissuta col cuore”: è la nostra amicizia con Dio che ci riempie di gioia e quindi ci muove “quasi naturalmente” alla gratitudine e alla lode. Per questo la pietà “è sinonimo di autentico spirito religioso, di confidenza filiale con Dio, di quella capacità di pregarlo con amore e semplicità che è propria delle persone umili di cuore”.
Essa ci fa crescere nella comunione con Dio e ci aiuta anche a riversare, in modo autentico l’amore su quanti incontriamo ogni giorno, “riconoscendoli come fratelli”. Così “saremo mossi da sentimenti di pietà” e non (e questo è un altro fraintendimento) di “pietismo” perché “alcuni pensano che avere pietà è chiudere gli occhi, fare faccia di immaginetta, così, no? E anche fare finta di essere come un santo, no? Ma quello non è il dono della pietà”. Pietà è dunque essere realmente capaci di gioire o piangere, stare vicini o correggere, consolare o accogliere chi incontriamo ogni giorno: “il dono della pietà che ci dà lo Spirito Santo ci fa miti, ci fa tranquilli, pazienti, in pace con Dio: al servizio con mitezza degli altri”. Di qui l’invito a chiedere al Signore ”che il dono del suo Spirito possa vincere il nostro timore, e le nostre incertezze, anche il nostro spirito inquieto, impaziente, e possa renderci testimoni gioiosi di Dio e del suo amore”.
Domenica 8 giugno, nella solennità di Pentecoste, al Regina Coeli il Papa ha ricordato l’incontro del pomeriggio in Vaticano con i presidenti di Israele Peres e di Palestina Abbas, con il patriarca ecumenico Bartolomeo I, un incontro storico voluto “per invocare da Dio il dono della pace nella Terra Santa, in Medio Oriente e nel mondo intero”. Ha poi ricordato che “dove arriva lo Spirito di Dio, tutto rinasce si trasfigura”, perché “l’evento della Pentecoste segna la nascita della Chiesa e la sua manifestazione pubblica; e ci colpiscono due tratti: è una Chiesa che sorprende e scompiglia”. Dopo la morte di Gesù “nessuno si aspettava più nulla dai discepoli” che “erano un gruppetto insignificante, degli sconfitti orfani del loro Maestro. Invece si verifica un evento inatteso….” Essi però “sono rivestiti di potenza dall’alto e parlano con coraggio – pochi minuti prima erano tutti codardi, ma adesso parlano con coraggio e franchezza, con la libertà dello Spirito Santo”. E’ vero che “qualcuno a Gerusalemme, avrebbe preferito che i discepoli di Gesù, bloccati dalla paura, rimanessero chiusi in casa per non creare scompiglio.” Ma il Signore li spinge nel mondo perché “la Chiesa di Pentecoste è una Chiesa che non si rassegna ad essere innocua, troppo ‘distillata’. No, non si rassegna a questo! Non vuole essere un elemento decorativo. È una Chiesa che non esita ad uscire fuori, incontro alla gente, per annunciare il messaggio che le è stato affidato, anche se quel messaggio disturba o inquieta le coscienze, anche se quel messaggio porta, forse, problemi e anche, a volte, ci porta al martirio”.
E’ una Chiesa che “nasce una e universale (…) con un’identità precisa, ma aperta, una Chiesa che abbraccia il mondo ma non lo cattura; lo lascia libero, ma lo abbraccia come il colonnato di questa Piazza: due braccia che si aprono ad accogliere, ma non si richiudono per trattenere”.
Gian Paolo Cassano

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