La Parola di Papa Benedetto

LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano

Un “anno della fede”; lo ha annunciato domenica 16 ottobre il Papa presiedendo l’Eucaristia in San Pietro per i nuovi evangelizzatori, “per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza.”
L’’Anno della Fede inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo: “sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo”.
Nella lettera apostolica di indizione (“Porta fidei”), pubblicata lunedì 17 ottobre il Papa indica l’esigenza di “riscoprire il cammino della fede” per ritrovare “il gusto di nutrirci della Parola di Dio”. La “porta della fede” è sempre aperta: “è possibile oltrepassare quella soglia – scrive il Papa – quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma”. Nella società di oggi, segnata da una profonda crisi di fede, “non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta”. Ricordando l’insegnamento di Gesù, “datevi da fare non per il cibo che non dura ma per il cibo che rimane per la vita eterna” (Gv 6,27), il Papa indica la meta di questo “mettersi in cammino”: “credere in Gesù Cristo è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza”.
Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della Fede, già Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967 nella memoria del XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo per “prendere esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla”.
Significativo poi il ricordo del 50° dell’inizio del Concilio come “una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”.
Nell’omelia in San Pietro, il Papa, ha ricordato che la missione della Chiesa va compresa secondo il “senso teologico della storia”, in quanto “i rivolgimenti epocali, il succedersi delle grandi potenze stanno sotto il supremo dominio di Dio; nessun potere terreno può mettersi al suo posto”. Essa “è un aspetto importante, essenziale della nuova evangelizzazione, perché gli uomini del nostro tempo, dopo la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo, hanno bisogno di ritrovare uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico”.
Ha poi sottolineato che “ogni missionario del Vangelo deve sempre tenere presente” che “è il Signore che tocca i cuori con la sua Parola e il suo Spirito”, perché è Dio che chiama le persone alla fede. Benedetto XVI ha invitato ad annunciare al mondo Cristo: “i nuovi evangelizzatori sono chiamati a camminare per primi in questa Via che è Cristo, per far conoscere agli altri la bellezza del Vangelo che dona la vita. E su questa Via non si cammina mai da soli, ma in compagnia: un’esperienza di comunione e di fraternità che viene offerta a quanti incontriamo, per partecipare loro la nostra esperienza di Cristo e della sua Chiesa. Così, la testimonianza unita all’annuncio può aprire il cuore di quanti sono in ricerca della verità, affinché possano approdare al senso della propria vita”.
All’angelus il Papa ha rilanciato l’urgenza di un rinnovato annuncio del Vangelo, specie nei Paesi di antica tradizione cristiana, richiamando “la bellezza e la centralità della fede, l’esigenza di rafforzarla e approfondirla a livello personale e comunitario, e farlo in prospettiva non tanto celebrativa, ma piuttosto missionaria, nella prospettiva, appunto, della missione ad gentes e della nuova evangelizzazione”.
Mercoledì 12 ottobre, all’Udienza generale, ha riflettuto sul Salmo 126, sulla necessità di credere alla presenza di Dio anche quando si attraversano momenti difficili.
E’ la certezza espressa dal salmista dove “la fine della deportazione e il ritorno in patria sono sperimentati come un meraviglioso ritorno alla fede, alla fiducia, alla comunione con il Signore; è un ‘ristabilimento della sorte’ che implica anche conversione del cuore, perdono, ritrovata amicizia con Dio”.
Ciò dovrebbe aprire gli occhi e allargare il cuore soprattutto dei cristiani. “Nella nostra preghiera – ha indicato Benedetto XVI – dovremmo guardare più spesso a come, nelle vicende della nostra vita, il Signore ci ha protetti, guidati, aiutati e lodarlo per quanto ha fatto e fa per noi”, attenti alla provvidenza di Dio “che diventa gratitudine, è molto importante per noi e ci crea una memoria del bene che ci aiuta anche nelle ore buie”.
Benedetto XVI si è poi soffermato sulla seconda parte del salmo dove il manifestarsi della salvezza viene descritto attraverso l’azione della semina. “Gettare il seme è un gesto di fiducia e di speranza; è necessaria l’operosità dell’uomo, ma poi si deve entrare in un’attesa impotente, ben sapendo che molti fattori saranno determinanti per il buon esito del raccolto e che il rischio di un fallimento è sempre in agguato (…) È il mistero nascosto della vita, sono le meravigliose “grandi cose” della salvezza che il Signore opera nella storia degli uomini e di cui gli uomini ignorano il segreto”.
Gian Paolo Cassano

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