La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano
A Gerusalemme a 50 anni dello storico incontro tra papa Paolo VI ed il patriarca di Costantinopoli Atenagora. Per la prima volta nella storia della cristianità domenica 25 maggio tutte le Chiese di Terra Santa hanno celebrato insieme: cattolici, greco-ortodossi, armeni, siriaci, copti, abissini ed altre confessioni cristiane.
Francesco e Bartolomeo I in una Dichiarazione comune hanno fatto “appello ai cristiani, ai credenti di ogni tradizione religiosa e a tutti gli uomini di buona volontà, a riconoscere l’urgenza dell’ora presente, che ci chiama a cercare la riconciliazione e l’unità della famiglia umana, nel pieno rispetto delle legittime differenze, per il bene dell’umanità intera e delle generazioni future”. Pur “pienamente consapevoli di non avere raggiunto l’obiettivo della piena comunione”, hanno ribadito l’impegno “a camminare insieme verso l’unità” dei cristiani, ricercando “un autentico dialogo con l’Ebraismo, l’Islam e le altre tradizioni religiose”. E’ un impegno forte, sapendo che “le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù”, ma le divergenze “non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino”: infatti “come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi”. Poi l’auspicio rinnovato di trovare “una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti”. C’è già un ecumenismo della sofferenza “quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna.” E’ un “ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non gli domandano se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani! Il sangue cristiano è lo stesso!”.
Ma la domenica del dialogo a Gerusalemme è stata segnata anche dall’abbraccio commovente tra il Papa, il rabbino Skorka e lo sceicco Abboud (amici di vecchia data a Buenos Aires, che ha voluto al suo seguito in questo viaggio), ai piedi del “Muro del pianto”, dove il Papa aveva pregato davanti al Muro, dove in una fessura aveva posto un foglietto con la preghiera del Padre Nostro, scritta di suo pugno in spagnolo. Incontrando in mattinata il Gran Muftì Sheikh Muhamad Ahmad Hussein sulla Spianata delle Moschee ha rivolto un caldo appello affinché “nessuno strumentalizzi per la violenza il nome di Dio! (…) Davanti al mistero di Dio siamo tutti poveri, sentiamo di dover essere sempre pronti ad uscire da noi stessi, docili alla chiamata che Dio ci rivolge, aperti al futuro che Lui vuole costruire per noi”.
La prima tappa però del suo secondo (il quarto di un papa) viaggio apostolico in Terra Santa (24 – 26 maggio) è stata la Giordania dove sabato 26 è stato accolto calorosamente dal Re Abdallah in un clima di gioia ad Amman. Francesco si è riferito alla dolorosa “permanenza di forti tensioni nell’area medio-orientale”, incoraggiando “a continuare ad impegnarsi nella ricerca dell’auspicata durevole pace per tutta la Regione” e “a favore del dialogo interreligioso”, auspicando che le comunità cristiane “possono professare con tranquillità la loro fede, nel rispetto della libertà religiosa”.
Celebrando la S. Messa nello stadio di Amman il vescovo di Roma ha invocato lo Spirito Santo chiedendogli di preparare la strada della pace e dell’unità. “Con l’unzione dello Spirito, la nostra umanità viene segnata dalla santità di Gesù Cristo e ci rende capaci di amare i fratelli con lo stesso amore con cui Dio ci ama. Pertanto, è necessario porre gesti di umiltà, di fratellanza, di perdono, di riconciliazione. Questi gesti sono premessa e condizione per una pace vera, solida e duratura”. Infatti “la pace non si può comperare, non si vende. La pace è un dono da ricercare pazientemente e costruire ‘artigianalmente’ mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana.”
Così ha sorpreso il mondo proponendo offrendo la propria “casa in Vaticano” per ospitare un “incontro di preghiera” (che è stato accettato) tra il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il presidente israeliano Shimon Peres. “Tutti desideriamo la pace” e “tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti”; così “molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla. E tutti – specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli – abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa Terra e del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace”.
Una proposta che nasce nel clima della visita a Betlemme nel mattino di domenica 25 maggio, dove si è raccolto in preghiera in silenzio sotto al Muro di separazione ricoperto di scritte: un gesto tra i più significativi di questa visita. Celebrando l’Eucaristia e indicando la nascita qui del Bambino Gesù, ha rivolto un accorato appello per i bambini del mondo: “tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio, a Dio che si è fatto Bambino”. Il Papa ha poi chiesto se davanti ai bambini oggi siamo Maria e Giuseppe o Erode, se siamo pastori che li adorano o siamo indifferenti, forse retorici e pietisti che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro, se siamo capaci di stare accanto a loro ascoltandoli, custodendoli e pregando per loro e con loro, o ci occupiamo dei nostri interessi… Ed “il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi….”
Dopo la visita privata alla Grotta della Natività di Betlemme, Papa Francesco si è recato al Phoenix Center del campo profughi di Dheisheh, dove ha incontrato i bambini palestinesi che vivono in questo campo e in quelli di Aida e Beit Jibrin, dicendo: “non lasciate mai che il passato determini la vita. Guardate sempre avanti. Lavorate e lottate per ottenere le cose che volete. Però, sappiate una cosa, che la violenza non si vince con la violenza! La violenza si vince con la pace!” E’ infatti giunto il momento per tutti “di avere il coraggio della pace”. Lo ha detto incontrando le autorità palestinesi sollecitando a intraprendere “l’esodo verso la pace” che poggia “sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”.
Riferendosi alla libertà religiosa ha riconosciuto che il suo rispetto è “una delle condizioni irrinunciabili della pace, della fratellanza e dell’armonia; dice al mondo che è doveroso e possibile trovare un buon accordo tra culture e religioni differenti; testimonia che le cose che abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibile individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica, nell’accoglienza delle differenze e nella gioia di essere fratelli perché figli di un unico Dio”.
Pace anche per la Siria lacerata da tre anni di guerra fratricida con le sue innumerevoli vittime, i profughi e gli esuli.. Lo ha chiesto nella visita al Santuario che sorge sul sito del Battesimo di Cristo al Giordano (sabato 24 pomeriggio): “cessino le violenze e venga rispettato il diritto umanitario, garantendo la necessaria assistenza alla popolazione sofferente! Si abbandoni da parte di tutti la pretesa di lasciare alle armi la soluzione dei problemi e si ritorni alla via del negoziato”. E alla preghiera per la pace, il Papa chiama anche i giovani che lo ascoltano: “offrite a Dio le vostre fatiche quotidiane”, e “pur nelle difficoltà della vita, siate segno di speranza.”
Un altro momento particolarmente significativo è stato l’omaggio alle sei milioni di vittime dell’Olocausto, al Memoriale dello Yad Vashem. Nel suo discorso, dai toni biblici, Francesco ha ripreso la voce di Dio che dice ad Adamo: “Dove sei? (…) Uomo, chi sei? Non ti riconosco più. Chi sei, uomo? Chi sei diventato? Di quali orrore sei stato capace? Cosa ti ha fatto cadere così in basso? Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male? Chi ti ha convinto che eri Dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio a te stesso, perché ti sei eretto a dio. Oggi torniamo ad ascoltare qui la voce di Dio: ‘Adamo, dove sei?’”. Di qui la supplica al Signore: “dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Mai più, Signore, mai più! ‘Adamo, dove sei?’. Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia”.
Nell’incontro con le autorità israeliane (il presidente Shimon Peres ed il premier Benyamin Netanyahu) ha denunciato il male del terrorismo: “è male nella sua origine ed è male nei suoi risultati. E’ male perché nasce dall’odio, è male nei suoi risultati perché non costruisce, distrugge! Che tutte le persone capiscano che il cammino del terrorismo non aiuta! Il cammino del terrorismo è fondamentalmente criminale!”
Incontrando il presidente Peres ha chiesto “che Gerusalemme sia veramente la Città della pace! Che risplendano pienamente la sua identità e il suo carattere sacro, il suo universale valore religioso e culturale, come tesoro per tutta l’umanità!”
In precedenza aveva reso una visita di cortesia ai due Grandi rabbini di Israele, David Lau e Yitzhak Yosef, al Centro “Hechal Shlomo”, affrontando il tema del dialogo ebraico-cristiano: “non si tratta solamente di stabilire, su di un piano umano, relazioni di reciproco rispetto: siamo chiamati, come cristiani e come ebrei, ad interrogarci in profondità sul significato spirituale del legame che ci unisce”. C’è certamente da parte della Chiesa “l’intenzione di considerare appieno il senso delle radici ebraiche della propria fede”, confidando “che anche da parte ebraica si mantenga, e se possibile si accresca, l’interesse per la conoscenza del cristianesimo, anche in questa terra benedetta in cui esso riconosce le proprie origini e specialmente tra le giovani generazioni”.
Gian Paolo Cassano

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