La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

Continua la catechesi sulla speranza cristiana. All’udienza generale di mercoledì 5 aprile il Papa, centrata sulla Prima Lettera di Pietro in cui l’apostolo invita a rendere ragione della speranza, ha ricordato che la speranza cristiana è fondata su Cristo risorto.
“La nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, non è un telefonino, non è un mucchio di ricchezze! La nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto. I popoli slavi quando si salutano, invece di dire ‘buongiorno’, ‘buonasera’, nei giorni di Pasqua si salutano con questo ‘Cristo è risorto!’, ‘Christos voskrese!’ dicono tra loro; e sono felici di dirlo!”.  Di essa “non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, e questo sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa”. Infatti “se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi.” Il Signore “deve diventare sempre di più il nostro modello: modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come Lui si è comportato”. La speranza poi prende “la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto, della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male”. Invece, “una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare”. E’ il caso dei mafiosi che “pensano che il male si può vincere con il male (…) perché i mafiosi non hanno speranza”.
Ora San Pietro afferma che «è meglio soffrire operando il bene che facendo il male» : ciò “non vuol dire che è bene soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore, il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza”.
Così quando “anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione, semi di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua”. In tal modo diventiamo “segni luminosi di speranza” ogni volta che “prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando”, benedicendo e “facendo del bene anche a quelli che non ci vogliono bene, o ci fanno del male”.
Domenica 9 aprile, all’Angelus, ha pregato per le vittime ed ha espresso la propria vicinanza all’Egitto e alla Chiesa copta per quanto accaduto, perché “il Signore converta il cuore delle persone che seminano terrore, violenza e morte e anche il cuore di quelli che fanno e trafficano le armi”. Ha poi aggiunto: “al Cristo che oggi entra nella Passione e alla Vergine Santa affidiamo le vittime dell’attentato terroristico avvenuto venerdì scorso a Stoccolma, come anche quanti sono ancora duramente provati dalla guerra, sciagura dell’umanità”.
Presiedendo la S. Messa della Domenica delle Palme, Francesco ha ripercorso i significati della Settimana Santa. Essa “ha un doppio sapore, dolce e amaro: in essa celebriamo il Signore, che entra osannato in Gerusalemme e, nello stesso tempo, viene proclamato il racconto evangelico della sua Passione”. Ora “Gesù non è un illuso che sparge illusioni, un profeta ‘new age’, un venditore di fumo, tutt’altro: è un Messia ben determinato, con la fisionomia concreta del servo, il servo di Dio e dell’uomo che va alla passione; è il grande Paziente del dolore umano”. Gesù, dunque, è il Re, che però dovrà patire calunnie, oltraggi, tradimenti, l’abbandono, il giudizio iniquo, e poi le percosse, i flagelli, la corona di spin; infine la via crucis e la crocifissione.
E Gesù stesso non ha mai promesso ai suoi discepoli onori e successi: “se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E anche per noi vale lo stesso: “sopportiamo con pazienza la nostra croce guardando a Lui, accettando di portarla giorno per giorno” e guardando al prossimo sofferente. “Questo Gesù, è presente in tanti nostri fratelli e sorelle che oggi, oggi patiscono sofferenze come Lui: soffrono per un lavoro da schiavi, soffrono per i drammi familiari, per le malattie… Soffrono a causa delle guerre e del terrorismo, a causa degli interessi che muovono le armi e le fanno colpire. Uomini e donne ingannati, violati nella loro dignità, scartati”, dove Gesù chiede di essere guardato, riconosciuto, amato. “E’ lo stesso che è stato inchiodato alla croce ed è morto tra due malfattori. Non abbiamo altro Signore all’infuori di Lui: Gesù, umile Re di giustizia, di misericordia e di pace”.
Gian Paolo Cassano

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