La parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

E’ stata una visita ricca ed intensa quella che il Papa ha vissuto a Milano lo scorso 25 marzo. Egli ha voluto significativamente iniziare dalla periferia, dal quartiere di Case Bianche, una zona caratterizzata da disoccupazione ed emarginazione ma che comunque ha tanta voglia di rinascere, entrando “in Milano come sacerdote”, incontrando la popolazione, ma anche visitando tre famiglie. Poi si è trasferito nel carcere di San Vittore, dove si è intrattenuto con i detenuti e pranzato con un centinaio di loro.
Nel Duomo, nel dialogo con i religiosi, rispondendo alle domande di un sacerdote, di un diacono e di una suora, ha sottolineato che le sfide non devono mai essere temute dalla Chiesa, ma viste come opportunità per un rinnovato annuncio del Vangelo a tutti. Al termine dell’incontro, il card. Angelo Scola ha “donato” al Papa a nome dell’arcidiocesi di Milano (grazie alla Caritas ambrosiana), 50 case per i poveri della città. Ora quando gettiamo le reti dell’evangelizzazione, non siamo noi a prendere i pesci, “è il Signore a prendere i pesci”. Così le sfide della società plurale sono positive per la Chiesa, “perché ci fanno crescere”: esse “sono segno di una fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene gli occhi e il cuore aperti. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutta completa: non ho bisogno di altre cose; tutto fatto. Questa fede è tanto annacquata che non serve. Questo dobbiamo temere. E si ritiene completa come se tutto fosse stato detto e realizzato. Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica”. Occorre però stare in guardia dalle ideologie che “crescono quando uno crede di avere la fede completa”, come non dobbiamo temere le diversità, nella consapevolezza che la Chiesa è una, ma è “un’esperienza multiforme”. Questa è “la ricchezza della Chiesa” e “lo Spirito Santo è il Maestro delle differenze” ma anche “il Maestro dell’unità. Quel grande artista, quel grande Maestro dell’unità nelle differenze è lo Spirito Santo”. Francesco ha così messo l’accento sull’importanza del “discernimento” delle cose buone in una “cultura dell’abbondanza”. Infatti “i nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo. Possono navigare su due o tre schermi aperti contemporaneamente, possono interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Ci piaccia o no, è il mondo in cui sono inseriti ed è nostro dovere come pastori aiutarli ad attraversare questo mondo. Perciò ritengo che sia bene insegnare loro a discernere, perché abbiano gli strumenti e gli elementi che li aiutino a percorrere il cammino della vita senza che si estingua lo Spirito Santo che è in loro”. Francesco ha poi risposto sulla particolarità del servizio del diaconato, che è molto importante nella vita della Chiesa, mettendo in guardia da due pericoli: il clericalismo e il funzionalismo. Il diacono “è il custode del servizio nella Chiesa”, parola chiave da cui “viene tutto lo sviluppo del vostro lavoro, della vostra vocazione, del vostro essere nella Chiesa. (…) In sintesi: non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca alla liturgia; non c’è vocazione ecclesiale che non sia familiare. Questo ci aiuta a rivalutare il diaconato come vocazione ecclesiale”. Il Papa ha poi sottolineato che l’essere minoranza non deve portarci alla “rassegnazione”, ricordandosi che sempre serve il lievito, “piccolo”, per “far crescere la farina”. Bisogna avviare processi piuttosto che occupare spazi: “oggi, la realtà (…) ci chiama ad avviare processi più che occupare spazi, a lottare per l’unità più che attaccarci a conflitti passati, ad ascoltare la realtà, ad aprirci alla ‘massa’, al santo Popolo fedele di Dio, al tutto ecclesiale. Aprirci al tutto ecclesiale”.
Incontrando i ragazzi cresimati e cresimandi, con i loro educatori (quasi 80.000) allo Stadio Meazza, in una festa di colori e di preghiera, ha risposto ad alcune domande in un dialogo vivace. Ha messo in rilievo la figura dei nonni e l’amicizia in parrocchia ed in oratorio, con un forte monito a non fare mai del bullismo e a promettere questo a Gesù: “in silenzio, ascoltatemi. In silenzio. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere, c’è qualcuno o qualcuna al quale o alla quale voi fate beffa, voi prendete in giro perché ha quel difetto, perché è grosso, perché è magro, per questo, per l’altro? Pensate. E a voi piace fargli passare vergogna e anche picchiarli per questo? Pensate. Questo si chiama bullying. Per favore, per il sacramento della Santa Cresima, fate la promessa al Signore di mai fare questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere. Capito?” Non è mancato l’invito alla testimonianza per trasmettere la fede ai figli e a leggere Amoris laetitia, specialmente i primi capitoli: “mostrare loro come la fede ci aiuta ad andare avanti, ad affrontare tanti drammi che abbiamo, non con un atteggiamento pessimista ma fiducioso, questa è la migliore testimonianza che possiamo dare loro. C’è un modo di dire: ‘Le parole se le porta il vento’, ma quello che si semina nella memoria, nel cuore, rimane per sempre”.
Il momento culminate è stato però quello dell’Eucaristia nel Parco di Monza, con un milione di fedeli. Qui ha lodato i carismi e i missionari delle terre ambrosiane che hanno generato nei secoli ricchezza per la vita della Chiesa. Ora l’incontro di Dio può avvenire in contesti insoliti, ma sempre Egli sceglie di entrare nelle nostre case, nelle lotte quotidiane colme di ansie e desideri. “Come avverrà questo in tempi così pieni di speculazione? Si specula sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia. Si specula sui poveri e sui migranti; si specula sui giovani e sul loro futuro. Tutto sembra ridursi a cifre, lasciando, per altro verso, che la vita quotidiana di tante famiglie si tinga di precarietà e di insicurezza. Mentre il dolore bussa a molte porte, mentre in tanti giovani cresce l’insoddisfazione per mancanza di reali opportunità, la speculazione abbonda ovunque”.
Il Papa si è domandato come sia possibile, con i ritmi vertiginosi di oggi, che rubano tempo alla famiglia e alla comunità, vivere la gioia del Vangelo, mantenendo viva la speranza cristiana. “Tutto ciò che accade esige da noi che guardiamo al presente con audacia”. Di fronte ai nostri smarrimenti, il Papa ha ripetuto che la gioia della salvezza prende forma nella vita quotidiana, proponendo tre chiavi per aiutarci ad accettare la missione che ci è stata affidata. Innanzitutto occorre evocare la memoria, come l’Angelo quando ricorda alla Vergine la promessa fatta a Davide, guardando il nostro passato per non dimenticare da dove veniamo e conservare l’eredità che ci è stata lasciata dai nostri nonni: “la memoria ci aiuta a non rimanere prigionieri di discorsi che seminano fratture e divisioni come unico modo di risolvere i conflitti. Evocare la memoria è il migliore antidoto a nostra disposizione di fronte alle soluzioni magiche della divisione e dell’estraniamento”. Poi bisogna sentire e vivere costantemente l’appartenenza al popolo di Dio chiamato a non avere paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno, perché sa che in quel volto, in quella storia, è presente il Signore. Siamo “un popolo chiamato a ospitare le differenze, a integrarle con rispetto e creatività e a celebrare la novità che proviene dagli altri”, un “popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere”. Infine occorre ricordarsi che nulla è impossibile a Dio! Quando crediamo che tutto dipenda dalle nostre forze rimaniamo prigionieri delle nostre capacità e dei nostri miopi orizzonti, quando invece ci lasciamo aiutare da Dio ci apriamo alla grazia e l’impossibile diventa realtà.
Gian Paolo Cassano

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