La Parola di Papa Benedetto

LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO
a cura di Gian Paolo Cassano

“Il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano”, non può essere assorbito “dagli aspetti esteriori”, in modo tale che “anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda”. Lo ha insegnato il Papa nell’Udienza di mercoledì 21 dicembre.
Ma come si fa a cogliere oggi questa profondità del Natale? Certamente partendo dal fatto storico di Gesù di Nazareth, il Dio “che non solo ha parlato all’uomo”, ma “si è fatto uomo”. E poi, essendo attenti ai segni della liturgia che “indicando che Gesù nasce ‘oggi’ … non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia (…) A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora ‘carne’ e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un ‘oggi’ che non ha tramonto”. Richiamando l’attenzione sull’aspetto “pasquale” insito all’evento di Betlemme (“Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione”) ha anche parlato della sua bellezza.
“Nel Natale – ha concluso – noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi (…) Il Figlio di Dio nasce ancora ‘oggi’, Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità”.
Nella notte di Natale Benedetto XVI ha invitato a guardare oltre “la festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità” e a “riconoscere Dio nella fede”. Dio è buono e questa è “la consolante certezza che ci viene donata a Natale”. Così in un mondo “continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi, in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace”.
All’Angelus di Natale (con gli auguri in varie lingue e la benedizione Urbi et Orbi) ha invocato il soccorso divino per le popolazioni più sofferenti in questo periodo per carestie, conflitti sociali, guerre. Al “grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli”, che “ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui”, Gesù è “la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore.” Questa consapevolezza “ci pone già – ha osservato il Papa – nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi” poiché è “Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio”.
Nel giorno di S. Stefano, all’Angelus, ha parlato del sacrificio di tanti cristiani vittime della violenza in Nigeria, chiedendo che “si fermino le mani dei violenti, che seminano morte e nel mondo possano regnare la giustizia e la pace.” Ancora una volta ha voluto “ripetere ancora una volta con forza: la violenza è una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte; il rispetto, la riconciliazione e l’amore sono l’unica via per giungere alla pace”. Così oggi, “come nell’antichità … la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio. Ma, ci ricorda il Signore, chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato”.
Perciò i martiri, come S. Stefano, sono “maestri di vita, … silenziosi messaggeri” della Verità fondata sull’amore poiché “la vera imitazione di Cristo è l’amore, che alcuni scrittori cristiani hanno definito il ‘martirio segreto’. A tale proposito, san Clemente di Alessandria scrive: ‘Coloro che mettono in pratica i comandamenti del Signore gli rendono testimonianza in ogni azione, poiché fanno ciò che Egli vuole e fedelmente invocano il nome del Signore’ (Stromatum IV, 7,43,4: SC 463, Paris 2001, 130).
Gian Paolo Cassano

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