La Parola di Papa Benedetto

LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO

a cura di Gian Paolo Cassano

L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto”. Così si è espresso il Papa durante l’udienza a Castel Gandolfo mercoledì 31 agosto. Quell’“alto” cui tende la bellezza artistica può condurre alla “Bellezza suprema”, a Dio !

E’ il caso dell’architettura (come nel romanico o gotico), le cui linee “spingono al cielo” o invitano “in modo spontaneo al raccoglimento e alla preghiera”. E’ il caso della musica quando ha la potenza di dilatare il cuore verso Dio.

Ha ricordato pensieri ed esperienze di grandi artisti come Marc Chagall, per il quale “i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia” o Paul Claudel, il quale ascoltando il canto del Magnificat durante la Messa di Natale del 1886, “avvertì la presenza di Dio”.

Così per tutti “la visita ai luoghi d’arte, allora, non sia solo occasione di arricchimento culturale – anche questo – ma soprattutto possa diventare un momento di grazia, di stimolo per rafforzare il nostro legame e il nostro dialogo con il Signore, per fermarsi a contemplare – nel passaggio dalla semplice realtà esteriore alla realtà più profonda che esprime – il raggio di bellezza che ci colpisce, che quasi ci ‘ferisce’ nell’intimo e ci invita a salire verso Dio”.

Domenica 4 settembre, all’ Angelus, ha benedetto l’apertura del Congresso eucaristico nazionale di Ancona e, riferendosi alla liturgia domenicale, ha evidenziato nella correzione fraterna e nella preghiera concorde le “prime pietre” della comunità cristiana antica.

Se il mio fratello commette una colpa contro di me – ha spiegato il Pontefice – io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, facendogli presente che ciò che ha detto o fatto non è buono. Questo modo di agire si chiama correzione fraterna: essa non è una reazione all’offesa subita, ma è mossa dall’amore per il fratello”.

Questo è il segno di “una corresponsabilità nel cammino della vita cristiana: ciascuno, consapevole dei propri limiti e difetti, è chiamato ad accogliere la correzione fraterna e ad aiutare gli altri con questo particolare servizio”.

L’altro “frutto della carità” è la preghiera concorde, che mostra la comunità cristiana “unita e unanime”, sul riflesso della “perfetta comunione d’amore” della Trinità.

Dobbiamo esercitarci (…) – ha aggiunto Benedetto XVI – in questa concordia all’interno della comunità cristiana. Dobbiamo esercitarci sia nella correzione fraterna, che richiede molta umiltà e semplicità di cuore, sia nella preghiera, perché salga a Dio da una comunità veramente unita in Cristo”.

Gian Paolo Cassano

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