NUOVI SANTI a cura di Gian Paolo Cassano

E’ stato proclamato beato domenica scorsa 21 ottobre a Malaga il sacerdote gesuita Tiburzio Arnáiz Muñoz. Il Papa all’Angelus domenicale ha invitato i fedeli a seguire le sue orme ed essere operatori di misericordia e missionari coraggiosi. Era chiamato il “pazzo” di Gesù”, tanto era innamorato del Signore. Il rito nella Cattedrale della città spagnola, è stato presieduto dal card. Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza del Papa.
Era nato a Valladolid il 20 aprile 1890, in una famiglia povera, ma traboccante spiritualità, devozione e preghiera; rimasto orfano di padre a 5 anni e con una mamma che faceva i salti mortali per occuparsi di lui, riuscì ad entrare in seminario, ma da studente “esterno” per aiutare a casa lavorando come sacrestano nel convento delle Domenicane dove poi entrerà la sorella
Ordinato sacerdote a Valladolid il 20 aprile 1890, fu un prete colmo di carità, che prima fu un uomo pieno di talenti e con una fortissima volontà; dopo aver conseguito il dottorato in Teologia a Toledo nel 1896 decise che doveva essere il cuore di Gesù il centro della sua vita e decise di entrare nella Compagnia di Gesù. “Amo così tanto la mia gente – diceva – che non la cambierei per una mitra; solo la voce di Dio ha il potere di tirarmi fuori dalla mia parrocchia”.
Nel 1902 don Tiburcio entrò nel seminario della Compagnia di Gesù a Granada. Scrive: “non chiederò mai nulla e sarò contento di ciò che mi daranno; non rifiuterò mai nessun lavoro, non userò mai alcun pretesto…”. La sua fu una carità straripante: insegnava a leggere e scrivere ai poveri, per apprendere nozioni di cultura generale ma soprattutto le basi elementari della fede, cioè che Dio ci ama al punto di dare la sua vita per noi. Il suo obiettivo era far conoscere sempre più l’amore del cuore di Gesù. A Malaga realizzò diverse scuole e laboratori per i più poveri che abitavano nei corralones, le periferie più povere della città, dove la Chiesa non era mai entrata e i preti venivano accolti con lanci di topi morti. La sua opera missionaria si specializzò nella predicazione della Parola di Dio e negli esercizi spirituali proposti a tutti con l’originale approccio delle doctrinas rurales. Una testimonianza potente e instancabile, fatta di parole, ma anche di penitenza e sacrificio.
“Dio si prenderà cura del mio corpo – diceva p. Tiburcio ac hi si preoccupa della sua salute – finché vivrò credendo in lui”. Una fiducia e un abbandono totale che finirono per erodere irrimediabilmente la sua salute: morì il 18 luglio 1926 mormorando le parole: “Quanto è bello il cuore di Gesù”. È dell’allora vescovo di Malaga, nella sua omelia funebre, la definizione di padre Tiburcio come di un “pazzo di Gesù” che anche se ha lasciato la città orfana di sé, continua a guidarla e proteggerla dall’alto dei cieli.

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