Nessuno ne parla (o quasi)

NESSUNO NE PARLA (O QUASI)
news quasi sconosciute
a cura di Gian Paolo Cassano

Nonostante la sconfitta dello stato islamico in Iraq non sembra essere assicurata una stabile cornice di pace. In particolare, per i cristiani, il futuro è minacciato da varie incognite, come nella piana di Ninive, dove molti cristiani sono tornati negli ultimi mesi, a causa delle forti tensioni tra il governo di Baghdad e quello indipendentista del Kurdistan. In un appello al presidente dell’Iraq Fuad Masum, il patriarca caldeo Louis Raphael Sako sottolinea che la priorità è  “proteggere le persone prima ancora dei pozzi petroliferi”. In un’intervista alla Radio Vaticana padre Benham Benoka (che vive ad Ankawa nel Kurdistan iracheno) spiega la paura diffusa tra i cristiani che si sentono sempre in pericolo e che non hanno più case in cui tornare. Egli ricorda che il patriarca caldeo cerca di proteggere tutti gli iracheni e l’unità del Paese, ma anche e soprattutto i cristiani che sono i più deboli fra gli indifesi in questo Paese: “ora i cristiani sono veramente in grave pericolo; ogni conflitto può definitivamente svuotare l’Iraq dei cristiani.” In questa situazione “i cristiani cercano di tornare nelle loro case, però hanno bisogno di aiuti che li sostengano a continuare la loro esistenza nella Piana di Ninive. Molti cristiani sono tornati nelle loro case, ma bisogna chiedersi in che condizione si trovano le loro case. Le case sono ancora bruciate, molte sono distrutte. All’interno delle città i cristiani della Piana di Ninive si trovano come i rifugiati.” E a “Mosul la situazione è ancora  gravissima. La questione non riguarda lo stato islamico. La gente non torna a Mosul a causa dell’ideologia che ha devastato la cultura della gente di Mosul. In alcuni casi, i cristiani si sono sentiti minacciati quando sono tornati nella città appena liberata.”
Intanto in Iran un ricercatore iraniano dell’Università del Piemonte Orientale è stato condannato a morte a Teheran. Si tratta di Ahmadreza Djalali, 46 anni, in carcere dall’aprile 2016 con l’accusa di spionaggio. Djalali (scrive il giornale La Stampa) lavorava a Novara al Centro di ricerca sulla medicina dei disastri, si era poi trasferito in Svezia, con la famiglia, all’inizio del 2016, dopo oltre due anni a Novara. Sposato con Vida, biologa, ha due figli, di sei e 15 anni. Fu arrestato in Iran dove si trovava per partecipare ad un convegno medico, con l’accusa di collaborazione con governi nemici, reato che in Iran è punito con l’impiccagione. Oggetto di forte pressioni, per protesta Djalali aveva iniziato uno lungo sciopero della fame. Al suo fianco i colleghi ed amici di Novara con Amnesty international, ed il sostegno dei senatori Luigi Manconi ed Elena Ferrara.
Gian Paolo Cassano

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