LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

Mercoledì 21 ottobre, all’Udienza generale, Francesco ha concluso la riflessione sui Salmi, inserita nel ciclo sulla preghiera, sottolineando che il Salterio ci insegna ad invocare Dio per noi, ma anche per i fratelli e per il mondo. In un’aula Paolo VI, dove la presenza dei fedeli è limitata e in sicurezza, secondo le norme anti contagio dovute alla pandemia, ha evidenziato come i salmi ci insegnano a pregare non solo per noi, ma anche per la salvezza dei fratelli e del mondo, aiutandoci a vincere la tentazione dell’empietà, “cioè di vivere, e forse anche di pregare, come se Dio non esistesse, e come se i poveri non esistessero”. Nei salmi l’empio compare come figura negativa, “è la persona senza alcun riferimento al trascendente, senza alcun freno alla sua arroganza, che non teme giudizi su ciò che pensa e ciò che fa”. Viene usato come esempio di tutto quello che la vera preghiera non deve essere, che invece è “la realtà fondamentale della vita”. E’ “sacro timore di Dio” che è “riferimento all’assoluto e al trascendente (…) ciò che ci rende pienamente umani, è il limite che ci salva da noi stessi, impedendo che ci avventiamo su questa vita in maniera predatoria e vorace. La preghiera è la salvezza dell’essere umano.”
La preghiera fasulla è invece quella “fatta solo per essere ammirati dagli altri”, che Gesù ha più volte criticato. E’ quella di coloro “che vanno a messa soltanto per far vedere” che ci vanno, “che sono cattolici, o per far vedere l’ultimo modello che hanno acquistato, per fare buona figura sociale”. Non è pregare “stancamente, in maniera abitudinaria, come i pappagalli”, perché “il vero spirito della preghiera (…) accolto con sincerità (…) ci fa contemplare la realtà con gli occhi stessi di Dio”. Pregando così, “ogni cosa acquista spessore”, peso “come se Dio la prende in mano e la trasforma”. In questo modo la “preghiera è il centro della vita. Se c’è la preghiera, anche il fratello, la sorella, diventa importante. Anzi, anche i nemici. Un antico detto dei primi monaci cristiani così recita: «Beato il monaco che, dopo Dio, considera tutti gli uomini come Dio». Chi adora Dio, ama i suoi figli. Chi rispetta Dio, rispetta gli esseri umani.” Per questo “la preghiera non è un calmante per attenuare le ansietà della vita”, ma “responsabilizza ognuno di noi”, come appare nel “Padre nostro”. Il Salterio è una grande scuola. Lo ricorda anche il Catechismo: “le espressioni multiformi della preghiera dei salmi nascono ad un tempo nella liturgia del Tempio e nel cuore dell’uomo”.
In questo modo “la preghiera personale attinge e si alimenta da quella del popolo d’Israele, prima, e da quella del popolo della Chiesa, poi”. Questa è la preghiera dei cristiani, con un “respiro”, una “tensione” spirituale “che tiene insieme il tempio e il mondo. La preghiera può iniziare nella penombra di una navata, ma poi termina la sua corsa per le strade della città. E viceversa, può germogliare durante le occupazioni quotidiane e trovare compimento nella liturgia. Le porte delle chiese non sono barriere, ma ‘membrane’ permeabili, disponibili a raccogliere il grido di tutti.” Nella preghiera del Salterio il mondo è sempre presente, perché i salmi “aprono l’orizzonte allo sguardo di Dio sulla storia”. Così “dove c’è Dio, ci dev’essere anche l’uomo”. Ricorda la Bibbia: “noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Lui ci aspetta sempre”. Infatti “se tu preghi tanti rosari al giorno ma poi chiacchieri sugli altri, e poi hai rancore dentro, hai odio contro gli altri, questo è artificio puro, non è verità”. Ci può essere “il caso di una persona che, pur cercando Dio sinceramente, non riesce mai a incontrarlo”; ma “non si possono mai negare le lacrime dei poveri, pena il non incontrare Dio”. Infatti “Dio non sopporta ‘l’ateismo’ di chi nega l’immagine divina che è impressa in ogni essere umano. Quell’ateismo di tutti i giorni: io credo in Dio ma con gli altri distanza e mi permetto di odiare gli altri. Questo è ateismo pratico. Non riconoscere la persona umana come immagine di Dio è un sacrilegio, è un abominio, è la peggior offesa che si può recare al tempio e all’altare.” La preghiera dei salmi ci aiuti “a non cadere nella tentazione dell’empietà, cioè di vivere, e forse anche di pregare, come se Dio non esistesse, e come se i poveri non esistessero”.
All’Angelus domenica 25 ottobre il Papa ha commentato il Vangelo domenicale sul comandamento principale di tutta la Legge divina. “Gesù stabilisce due cardini essenziali per i credenti di tutti i tempi. Due cardini essenziali della nostra vita. Il primo è che la vita morale e religiosa non può ridursi a un’obbedienza ansiosa e forzata, ma deve avere come principio l’amore. Il secondo cardine è che l’amore deve tendere insieme e inseparabilmente verso Dio e verso il prossimo.” Come in un gioco di specchi, l’immagine che emerge rivela a noi stessi come viviamo l’essere cristiani. “Ciò significa che tutti i precetti che il Signore ha dato al suo popolo devono essere messi in rapporto con l’amore di Dio e del prossimo. Infatti, tutti i comandamenti servono ad attuare ad esprimere quel duplice indivisibile amore.” Ora “l’amore per Dio si esprime soprattutto nella preghiera” e “in particolare nell’adorazione” che noi “trascuriamo tanto”, mentre “l’amore per il prossimo, che si chiama anche carità fraterna, è fatto di vicinanza, di ascolto, di condivisione, di cura per l’altro. (…) Scrive l’apostolo Giovanni: ‘Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede’ . Così si vede l’unità dei due comandamenti.” La Comunione con Dio, “dono da invocare ogni giorno”, è anche impegno personale “perché la nostra vita non si lasci schiavizzare dagli idoli del mondo” e si orienti verso le necessità dei fratelli. Così “la verifica del nostro cammino di conversione e di santità è sempre nell’amore del prossimo. Se io dico amo Dio e non amo il prossimo, non vale. Finché ci sarà un fratello o una sorella a cui chiudiamo il nostro cuore, saremo ancora lontani dall’essere discepoli come Gesù ci chiede.”

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