LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO a cura di Gian Paolo Cassano

All’udienza generale di mercoledì 9 settembre tenuta nel Cortile di San Damaso, in Vaticano, il Papa ha indicato nella politica del bene comune la risposta sociale alla pandemia. Infatti il coronavirus ha mostrato l’intreccio profondo che esiste fra il bene comune e il bene di ciascuno, che “la salute, oltre che individuale, è anche un bene pubblico”, per cui una società sana “si prende cura della salute di tutti”. Il Papa così ha proseguito le catechesi su come guarire il tessuto personale e sociale ferito ancor più profondamente dalla pandemia, con frequenti richiami al prezioso tesoro della Dottrina sociale della Chiesa. Egli ha posto la sua attenzione sull’amore come strada per il bene comune perché “il vero bene per ciascuno è un bene comune non solo individuale”. Infatti “per costruire una società sana, una società inclusiva, giusta e pacifica, dobbiamo farlo sopra la roccia del bene comune. Il bene comune è una roccia. E questo è compito di tutti noi, non solo di qualche specialista.” Oggi, invece, si assiste all’emergere di interessi di parte, come nel caso di “chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini e poi venderli agli altri”, oppure approfittando “della situazione per fomentare divisioni” in cerca di vantaggi economici o politici, o semplicemente imboccano la strada dell’indifferenza, “i devoti di Ponzio Pilato”. In questo orizzonte, invece, “la risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenti crisi socio-economiche si basa sull’amore”: è l’amore di Dio, da accogliere per poter rispondere in maniera simile. “Il punto più alto della santità” è “amare i nemici” anche se non è facile. E’ “un’arte” che si può imparare e migliorare.
Francesco si è così riallacciato al Catechismo e al cammino dei suoi predecessori Citando la Sollicitudo rei socialis di San Giovanni Paolo II, ha evidenziato che una delle “più alte espressioni di amore è proprio quella sociale e politica”, decisiva per affrontare ogni tipo di crisi, per costruire una “civiltà dell’amore”, come amava dire San Paolo VI. Altrimenti prevale la cultura dello scarto, dell’egoismo, portando ad esempio due genitori che hanno un figlio disabile a cui dedicano tutta la loro vita. “Questo è amore. E i nemici, gli avversari politici, anche al nostro parere, sembrano essere disabili politici, sociali, ma sembrano. Solo Dio sa se lo sono o no. Ma noi dobbiamo amarli, dobbiamo dialogare, dobbiamo costruire questa civiltà dell’amore, questa civiltà politica, sociale, dell’unità di tutta l’umanità. Al contrario, le guerre, le divisioni, le invidie, anche le guerre in famiglia: perché l’amore inclusivo è sociale, è familiare, è politico… l’amore pervade tutto.” L’amore, poi, è espansivo. Quanto bene fa una carezza di perdono più di tanti argomenti per difendersi ! “Un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni. (…) Il vero amore non conosce la cultura dello scarto, non sa cosa sia. Infatti, quando amiamo e generiamo creatività, quando generiamo fiducia e solidarietà, è lì che emergono iniziative concrete per il bene comune. E questo vale sia a livello delle piccole e grandi comunità, sia a livello internazionale”. Se si comincia con l’amore, sarà il perdono per tutti. “Se ognuno ci mette del suo, e se nessuno viene lasciato fuori, potremo rigenerare relazioni buone a livello comunitario, nazionale, internazionale e anche in armonia con l’ambiente. Così nei nostri gesti, anche quelli più umili, si renderà visibile qualcosa dell’immagine di Dio che portiamo in noi, perché Dio è Trinità d’Amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune. Dio è amore, Dio è amore. (…) Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando sì, tutti insieme per il bene comune, non solo per il mio bene, per il bene comune di tutti.” Al riguardo san Tommaso d’Aquino ricordava come la promozione del bene comune fosse “un dovere di giustizia” che ricade su ogni cittadino e sant’Ignazio di Loyola esortava a orientare gli sforzi quotidiani verso il bene comune come un modo per “diffondere la gloria di Dio”.
Il Papa poi si è soffermato sulla politica che “spesso non gode di buona fama”. Questo non vuol dire che “i politici tutti siano cattivi”. Non bisogna rassegnarsi ad una visione negativa, ma occorre reagire, mostrando che “è doverosa una buona politica” che metta al centro bene comune e persona umana. Infatti, nella storia, ci sono “tanti politici santi”. E’ ciò che sono chiamati a fare in particolare i fedeli laici, dando buona testimonianza: “è dunque tempo di accrescere il nostro amore sociale, contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti.”
Domenica 13 settembre, all’Angelus, ha messo in rilievo come perdono e misericordia, traccino uno stile di vita improntato alla pace. Commentando il vangelo domenicale della parabola del Re misericordioso e del servo spietato, ha rilevato come “nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia”. Ora “il cuore della parabola è l’indulgenza che il padrone dimostra verso il servo con il debito più grande. L’evangelista sottolinea che ‘il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito’. Un debito enorme, dunque un condono enorme!” Quella stessa indulgenza, quella stessa compassione, però, il servo condonato non la dimostra verso un altro servo di quel padrone, un suo pari, che ha un debito con lui molto più piccolo di quello che egli aveva con il padrone. Ripercorrendo questi passaggi, il Papa ha chiarito la differenza di atteggiamento tra il padrone e il servo spietato, che è spesso la stessa differenza di atteggiamento che c’è tra Dio e l’uomo: “Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia”, ma “c’è bisogno di quell’amore misericordioso” che ci dimostra il Padre e che è alla base della risposta che Gesù dà alla domanda di Pietro: Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. “Nel linguaggio simbolico della Bibbia, questo significa che noi siamo chiamati a perdonare sempre!” E’ un amore misericordioso verso il prossimo da vivere nel matrimonio, tra genitori e figli, nelle famiglie troppo spesso distrutte dall’odio tra fratelli, all’interno delle comunità, nella Chiesa e anche nella società e nella politica. “Quanta sofferenza, quante lacerazioni, quante guerre potrebbero essere evitate, se il perdono e la misericordia fossero lo stile della nostra vita!”
Se non si perdona, “il rancore torna come una mosca fastidiosa”: meglio, quindi, perdonare, per essere a nostra volta perdonati, perché il perdono non è un impeto di un momento, ma uno stile di vita che deve durare per sempre… “Perdonare non è soltanto una cosa di un momento, è una cosa continua contro questo rancore, questo odio che torna. Pensiamo alla fine, smettiamola di odiare.”
Non bisogna dimenticare il legame tra la parabola del Vangelo e ciò che diciamo nel Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. “Queste parole contengono una verità decisiva. Non possiamo pretendere per noi il perdono di Dio, se non concediamo a nostra volta il perdono al nostro prossimo. È una condizione: pensa alla fine, al perdono di Dio, e smettila di odiare; caccia via il rancore, quella mosca fastidiosa che torna e torna. Se non ci sforziamo di perdonare e di amare, nemmeno noi verremo perdonati e amati.”

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