La Parola di Papa Francesco

LA PAROLA DI PAPA FRANCESCO
a cura di Gian Paolo Cassano

La “misericordia secondo la prospettiva biblica”; è questo il tema del nuovo ciclo di catechesi che è iniziato mercoledì 13 gennaio all’udienza generale in Aula Paolo VI. È fin dall’inizio della Bibbia che la misericordia appare come il “nome” di Dio (che rimanda al nuovo libro-intervista del Papa appena presentato), rivelandosi a Mosè come “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”. Innanzitutto “Dio è misericordioso”: è questa un’immagine “di un Dio che si commuove e si intenerisce per noi come una madre quando prende in braccio il suo bambino, desiderosa solo di amare, proteggere, aiutare, pronta a donare tutto, anche sé stessa. Quella è l’immagine che suggerisce questo termine. Un amore, dunque, che si può definire in senso buono ‘viscerale’”. Ma Egli (ecco il secondo appellativo) è “pietoso”, “nel senso che fa grazia, ha compassione e, nella sua grandezza, si china su chi è debole e povero, sempre pronto ad accogliere, a comprendere, a perdonare”, proprio “come il padre della parabola riportata dal Vangelo di Luca….” Inoltre Dio “è lento all’ira”, perché in Lui è il “respiro ampio della longanimità e della capacità di sopportare” con una pazienza che l’uomo non ha e soprattutto (ecco il quarto appellativo) è “grande nell’amore e nella fedeltà”. E’ una definizione molto bella di Dio! “La parola ‘amore’, qui utilizzata, indica l’affetto, la grazia, la bontà. Non è l’amore di telenovela… È l’amore che fa il primo passo, che non dipende dai meriti umani ma da un’immensa gratuità. È la sollecitudine divina che niente può fermare, neppure il peccato, perché sa andare al di là del peccato, vincere il male e perdonarlo.” Al termine, Francesco citando il Salmo 121 e la seconda Lettera a Timoteo, ricorda che Dio rimane sempre fedele anche se l’uomo manca di fedeltà: “la fedeltà nella misericordia è proprio l’essere di Dio. E per questo Dio è totalmente e sempre affidabile. Una presenza solida e stabile. È questa la certezza della nostra fede. E allora, in questo Giubileo della Misericordia, affidiamoci totalmente a Lui, e sperimentiamo la gioia di essere amati da questo ‘Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà’”.
Domenica 17 gennaio, all’Angelus, nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, il Papa ha invitato a non lasciarsi rubare “la gioia di vivere, che scaturiscono dall’esperienza della divina misericordia, anche grazie alle persone che vi accolgono e vi aiutano”. I migranti e rifugiati, infatti, portano “in sé una storia, una cultura, dei valori preziosi; e spesso purtroppo anche esperienze di miseria, di oppressione, di paura”. Riferendosi al Vangelo domenicale delle nozze di Cana il Pontefice ha colto “un atto benevolenza di Gesù verso gli sposo, una benedizione di Dio sul matrimonio”. Quindi “l’amore tra l’uomo e la donna è (….) una buona strada per vivere il Vangelo, cioè per incamminarsi con gioia sul percorso della santità”. Ma Cana “non riguarda solo gli sposi”, perché “ogni persona umana è chiamata ad incontrare il Signore nella sua vita” che “non si presenta a noi come un giudice pronto a condannare le nostre colpe; né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente i suoi ordini”, ma “come Salvatore dell’umanità, come fratello, come il nostro fratello maggiore, Figlio del Padre: si presenta come Colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi”.
Domenica 17 c’è stata la visita di Francesco alla Sinagoga di Roma (la terza di un papa, dopo Giovanni Paolo II nel 1986 e poi Benedetto XVI nel 2010), in un clima festoso e di amicizia, con un commosso abbraccio ai superstiti della Shoah. Dopo aver reso omaggio alle lapidi in memoria della deportazione dell’ottobre del 1943 e dell’attentato terroristico del 1982, l’incontro con il Rabbino capo Riccardo Di Segni e tanti presenti. Il Papa, ricordando la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ha affermato l’irreversibilità del dialogo interreligioso dove “ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune, sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”. Con gli ebrei “fratelli e sorelle maggiori nella fede”, appartenenti all’unica “famiglia di Dio”, siamo chiamati ad assumerci “le nostre responsabilità per la città di Roma”, senza perdere di vista però le “grandi sfide del mondo”. Di qui l’impegno per la pace e la giustizia da rafforzare, perché “la violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio” e “né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita”.
Gian Paolo Cassano

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