Chiesa Parrocchiale

OCCIMIANO – (gpc): Chiesa parrocchiale, S. Valerio: nel centro del paese. Al 1298 risale la prima attestazione di una chiesa con tale titolo negli estimi della diocesi di Vercelli, pieve di Mediliano [ARMO, p. 36]. La costruzione dell’attuale edificio iniziò nel 1486 [AD 1974, p. 109], ma i lavori procedettero a rilento, tanto che la consacrazione da parte del vescovo Scipione d’Este avvenne solo il 30/11/1555 [AD 1991, p. 164; Novarese 1892, p. 238]. Nel 1568 il pavimento era ancora in terra battuta [Barberis 1982, p. 283]. Nel luglio 1622 Giovanni Battista Rigollo effettuò lavori in stucco nella cappella della Madonna, nella cappella di S. Carlo e nel coro [Prato 1915, p. 10]. Gli altari laterali con le rispettive balaustre provengono dalla chiesa della Consolazione, eretta in Occimiano nel 1673 dai Padri Crociferi di S. Camillo e smantellata nel 1798; anche quadri e arredi religiosi passarono in tale occasione alla parrocchiale [Barberis 1982, p. 285; Occimiano 1997, pp. 51-52]. Nel 1811 furono realizzati importanti restauri da parte di Carlo Ferraris e dei fratelli Giuseppe e Nicola Savini, diretti da Agostino Vitoli [Prato 1915, p. 10]. La sacrestia fu aggiunta nel 1814. Nel 1818 la chiesa fu dotata di bussola con tribuna d’organo e di coro (a modello del coro della sacrestia del duomo di Casale); lavori eseguiti da Vincenzo Capra, custode del teatro municipale di Casale.
Nel 1822 si effettuarono restauri nella cappella di S. Orsola [Prato 1915, p. 10]; nel 1825, durante i lavori di sostituzione del vecchio altare di legno della cappella con l’attuale di marmo, il parroco don Taravelli trovò sotto la base di una colonna un foglio ingiallito datato 20/8/1580 con notizie sull’esecuzione da parte di Bernardino Lanino della pala commissionata da Francesco Rafaldo, fondatore e priore della compagnia di S. Orsola [Prato 1915, p. 10; Quazza 1986, p. 260; Genovese 1995]. La chiesa fu ancora fatta abbellire da mons. Angelino negli anni 1867 69, con dipinti delle volte e degli altari di Paolo Maggi e decorazioni di Francesco Ferrari [Barberis 1982, p. 28]; venne riconsacrata il 27/7/1869 dal vescovo Pietro Maria Ferrè [AD 1991, p. 164].
Nel 1881 lo stesso mons. Angelino fece costruire su un terreno anticamente destinato a cimitero una cappella dedicata all’Immacolata, collegata alla parrocchiale sul lato destro della prima campata [Barberis 1982, p. 145]. Negli anni 1882 83 il parroco fece prolungare anteriormente di due arcate la chiesa, che ebbe una nuova facciata (disegno dell’architetto Gioachino Varino, capomastro Giovanni Negri, dipinti di Paolo Maggi, porte e orchestra ideate ed eseguite da Pietro Buzio, decorazioni in oro di Isidoro Giussani [Barberis 1982, p. 28]). Nel 1917 fu rinnovata la decorazione del battistero ad opera di Giuseppe Aceto. La facciata fu restaurata nel 1980 [Barberis 1982, pp. 166, 283].
Il campanile quattrocentesco, alto 40 metri al colmo della lunga cuspide, è in mattoni a vista, con quattro monofore su due piani per ciascun lato e coronamento con archetti; fu restaurato nel 1925, quando si posero sulla cuspide boccia, banderuola e croce, che caddero nel 1980; rifacimento nel 1986 con l’aggiunta della banderuola segnata dalla “V” di Valerio, esecutore Pier Luigi Gaviora [Grignolio 1993, p. 76]. Sopra la cella campanaria sono collocati i quadranti di un orologio restaurata (Eltec). Imponente facciata del 1882-83, caratterizzata da un arco trionfale con due colonne per lato, tra cui su alti piedistalli sono poste le statue di S. Giorgio e S. Lorenzo, compatroni del paese. Sopra la porta centrale, in un oculo, è situato il busto di S. Valerio. Interno a tre navate divise da grandi colonne che reggono arcate longitudinali. Affreschi della volta di Paolo Maggi. Altare maggiore e balaustra marmorei del 1751 [Grignolio 1993, pp. 74-75]. Vi sono due altari con colonne in capo alle navate laterali e due cappelle laterali, i cui relativi altari e balaustre provengono dalla chiesa della Consolazione [Barberis 1982, p. 285]: a destra è la cappella dell’Assunta con tela moncalvesca, a sinistra la cappella di S. Orsola. Varie pale interessanti: alla parete sinistra del presbiterio, Madonna col Bambino, fra le Ss. Caterina e Orsola e devote di Bernardino Lanino (1580), una delle ultime opere del pittore; alla parete della navata laterale destra la bellissima Assunta, del “Maestro dell’Assunta” (1680-90), che «arieggia Pittoni ma subito discostandosene in senso più lombardo» [Spantigati 1979, p. 21]; Deposizione di Gesù dalla croce, di Giorgio Alberini (1622); S. Camillo, Transito di S. Giuseppe, Madonna con S. Francesco e S. Carlo, S. Valerio nell’abside, S. Orsola, S. Lucia [Grignolio 1993, p. 76]. Organo Serassi del 1818 rifatto da Mentasti [AD 1991, p. 164]. L’ampia cappella dell’Immacolata che si apre sulla destra all’altezza della prima campata, presenta varie pale, tra cui una S. Filomena, dipinta dal barone Giuseppe Zino [Basile 2004, p. 24]. .
Poco oltre l’ingresso, nell’atrio della cappella dell’Immacolata, sono murate due lapidi romane: la prima di marmo bianco (m 1.92 x 0.86), probabilmente risalente al II sec. d. C., è costituita da un grande specchio epigrafico rettangolare delimitato da un semplice listello e coronato da un timpano triangolare con nicchia contenente il busto di un defunto scolpito a rilievo (acconciatura di età traianea), ai cui lati sono incisi due grandi delfini verticali con testa rivolta in basso; da un lungo testo in caratteri di fine esecuzione e di altezza decrescente si ricava che la stele fu posta sulla tomba dei genitori dal quadrunviro Marco Sullio Vero, il quale prevedeva un lascito di 400 sesterzi perché non mancasse ogni anno alla tomba un omaggio di rose; nel testo viene citato il vicus Iadatinus [Mercando 1998, pp. 86-87]. Nella seconda epigrafe, più piccola, incisa su pietra dolce e alquanto corrosa, è citato Saerus vilicus dei Firmani, giunto a fare un’offerta a Giove [Angelino 1988]. Entrambe le lapidi vennero alla luce nella chiesa di S. Maria di Caresana, già detta “pieve” (S. Maria in Piè), che sorgeva sul pendio ad ovest dell’attuale abitato (dove si trovava l’antico insediamento romano): tale chiesa nel 1298 era allibrata per una piccola cifra, risultava pericolante nel 1584 e fu abbattuta agli inizi del XX sec. [ARMO p. 36; Bo 1980, pp. 58-60]. La prima lapide fu rinvenuta nel pavimento della chiesa e fu trasportata prima del 1560 nella parrocchiale, ove per due secoli servì da mensa dell’altar maggiore (presenta infatti uno scavo a loculo per le reliquie, riaperto nel 1740 per cercare la pergamena con la data di consacrazione). Nel 1751 l’altare di legno dorato fu sostituito da un nuovo altare marmoreo e la lapide fu deposta nel vicino cimitero, dove la scoprì il parroco don Bartolomeo Cavagna, che la fece murare sulla cinta esterna del cimitero, prospiciente la piazza; il successore don Taravelli fece affiggere l’epigrafe all’interno della parrocchiale tra le porte maggiore e minore sul lato del battistero; infine nel 1882-83, in seguito ai lavori di prolungamento della chiesa, venne fatta murare da mons. Angelino alla sinistra dell’entrata della nuova cappella dell’Immacolata [Novarese 1892, p. 238]. La seconda epigrafe era collocata nel frontespizio dell’altare della chiesa di S. Maria di Caresana; nel 1768 (1763?) il vecchio altare fu demolito, e il blocco rimase abbandonato fino al 1771, quando don Cavagna fece incassare anch’esso nel muro di cinta del cimitero; l’epigrafe fu quindi sistemata all’interno della parrocchiale tra la porta centrale e la laterale destra, infine nel 1882-83 venne posta alla destra della porta che dà accesso alla cappella dell’Immacolata; purtroppo alcune parti sporgenti (capitello e cornici) vennero scalpellate dai muratori [Novarese 1892, pp. 245-46].

Nella cappella dell’Immacolata ci  sono due quadri opera del barone  Giuseppe Zino, uno (a sinistra entrando, dedicato a S. Filomena), l’altro (a  destra) dedicato a Maria Ausiliatrice.
L’occimianese Zino infatti fu valente pittore e disegnatore ufficiale della corte sabauda. Varrebbe le pena ricordare il libro di Zino (curato dalla prof.sa Pina Basile), Fatti taciuti o dimenticati (ricordi degli anni 1848-1849), riedito dalle Edizoni Spartaco di S.Maria Capua Vetere nel 2004.
Relatori ufficiali sono stati la prof.ssa Pina Basile del dipartimento di Letteratura, Arte e Spettacolo dell’Università degli Studi di Salerno (a cui si deve la riscoperta e che ne ha curato la riedizione) ed il prof. Giuseppe Lauriello, primario di pneumatologia e storico della Scuola medica salernitana.
La testimonianza del barone Giuseppe Zino si inserisce tra le fulgide pagine del nostro Risorgimento (il testo è intriso di un forte spirito patriottico) che affratellano Nord e Sud d’Italia.

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